Perché non partecipiamo alla votazione referendaria sul “taglio dei parlamentari”

Confronto con le posizioni della sinistra e di alcuni “marxisti rivoluzionari”

Il 20 e 21 settembre, in concomitanza con la nuova tornata di elezioni amministrative, si svolgerà la votazione per il referendum confermativo per approvare o respingere la legge di revisione costituzionale finalizzata alla riduzione del numero dei parlamentari.

Come sempre accade, gli ultras delle diverse fazioni (Sì e No) in questi giorni si accapigliano e provano a difendere le proprie ragioni, presentandole come ragioni funzionali alla difesa della “democrazia”, senza mai uscire dai recinti del pensiero unico dominante.

Perché non sosteniamo il Sì

I sostenitori del Sì – in primo luogo i pentastellati – giustificano la loro “battaglia”, che cavalca il diffuso sentimento di “anti-politica”, riferendosi essenzialmente all’argomento del “risparmio” che “lo Stato” avrebbe grazie al taglio dei parlamentari. Si tratta ovviamente di argomenti demagogici e populisti, considerando che questo “risparmio” sarebbe minimo e irrisorio, cifre alla mano, e considerando soprattutto che lo Stato non è un’entità neutrale ma è una sovrastruttura funzionale alla preservazione della struttura economica vigente e al mantenimento del potere nelle mani della classe dominante, motivo per cui l’eventuale “risparmio” non andrebbe comunque a vantaggio dei lavoratori, delle lavoratrici e degli ultimi.

Ed essendo il parlamento anch’esso una sovrastruttura politica funzionale alla difesa della struttura economica capitalista, pur nel caso in cui fosse composto da un numero minore di parlamentari la sostanza della questione non cambierebbe minimamente: le Camere rimarrebbero comunque organi di mera ratifica di decisioni funzionali ai profitti della banche e delle grandi imprese, sarebbero cioè, in ogni caso, rappresentative degli interessi della borghesia. Tralasciamo – per motivi di spazio e di decenza – altri argomenti collaterali, e parimenti risibili, tipo quello secondo cui il Sì sarebbe la risposta alla pratica di ”assenteismo” diffusa fra i parlamentari, perché oltre a essere prive di logica (chi lo dice che riducendo il numero dei deputati e dei senatori gli stessi sarebbero più “presenti”?) tutte queste chiacchiere si infrangono contro le obiezioni sostanziali che abbiamo su indicato.

La sinistra per il No: la questione della “casta”

Poiché, tuttavia, la sinistra e anche alcuni soggetti che si richiamano al marxismo sono in questi giorni impegnati a sostenere il No, contribuendo ad alimentare confusione fra settori di militanti combattivi, nel prosieguo dell’articolo ci concentriamo più analiticamente nel contrastare le argomentazioni che vediamo circolare in rete da parte dei sostenitori di questo schieramento.

Una prima argomentazione utilizzata è quella secondo cui “la casta vota Sì”, motivo per cui, per contrasto, occorrerebbe votare per il No. Sorvolando sulla rozzezza di una simile logica e sulla debolezza intrinseca al concetto di “casta”, poiché intuiamo il senso di simili esternazioni ci limitiamo a far notare che, in realtà, buona parte dei partiti e dei politicanti di sistema sono orientati a votare per il No. Così, ad esempio, alcuni settori del Partito democratico, basti pensare alle posizioni espresse pubblicamente da Orfini1 o dallo sceriffo campano De Luca2. Allo stesso modo, sono per il No alcuni transfughi del Pd come Carlo Calenda3, fondatore di “Azione” dopo la rottura coi dem, mentre lo stesso Matteo Renzi4, pur avendo lasciato “libertà di coscienza” ai suoi, si è espresso negativamente rispetto alla legge di revisione costituzionale sottoposta a referendum confermativo e, sotto sotto, sa bene che alla sua fragile “Italia viva” non conviene certo la sfoltita dei parlamentari. Alcuni di questi soggetti sostengono il loro No sulla base della considerazione che il Sì al referendum più che costituire una “riforma complessiva” dell’assetto istituzionale (superamento del “bicameralismo perfetto”, istituzione delle “preferenze” ecc) costituirebbe un “mero taglio”: ma al di là delle argomentazioni ufficialmente addotte, resta il fatto che tutti i soggetti su menzionati si schierano per il No. Sono per il No anche la Bonino5 e alcuni satelliti del Pd, tipo il movimento delle “sardine”6, la Sinistra italiana di Fratoianni7 e altri gruppi di sinistra che sperano sempre in uno strapuntino.

Aggiungiamo che negli ultimi giorni il fronte dei difensori della “democrazia” si è arricchito di ulteriori importanti promoters, ad esempio Silvio Berlsuconi8 e altri parlamentari di Forza Italia (Bernini, Baldelli ecc), i quali un po’ per andare contro il M5s, un po’ perché consapevoli che la riduzione del numero dei parlamentari significherebbe riduzione dei seggi, e quindi delle entrate, stanno facendo un evidente dietrofront. Così come per il No, a fianco di coloro i quali “credono nel valore della democrazia”, si è schierato in questi giorni anche il governatore siciliano Musumeci, già Msi e An, a capo di una giunta regionale che più destrorsa non si può, di cui fanno parte anche Fi, Fdi e Lega9.

Forse che i personaggi sin qui citati non vanno inclusi nel concetto di “casta” cui fa riferimento qualcuno a sinistra? E pare proprio che persino qualche pentastellato10 sia orientato a votare contro la linea del proprio partito, il M5s, che – come è noto – è la forza politica in prima linea nel referendum e nella “battaglia” per il Sì. Insomma, tutti i difensori della “democrazia”, ovunque collocati, capiscono che ridurre il numero delle poltrone non è conveniente… E, in fondo, viste le sue condizioni di salute, la riduzione del numero dei parlamentari non conviene granché neanche al M5s

A completamento della discussione, facciamo notare che persino Salvini e la Meloni, pubblicamente posizionati a favore del Sì per cavalcare anche loro l’onda “antipolitica” e “anticasta”, cioè per non lasciare questa carta in mano al M5s, stanno comunque affrontando la vicenda senza spendersi troppo, preferendo concentrare la propria attenzione sulla caccia ai migranti e sull’attacco più generale al governo, ad esempio sulla questione della scuola. Del resto, è una tattica, questa del Sì sussurrato, che può solo portare benefici a Lega e Fdi: difatti, in caso di vittoria del Sì potranno fregiarsi anche loro di aver vinto la battaglia per la riduzione dei parlamentari agli occhi dei loro elettori e di tutti i nemici della “casta”, se vince il No – tanto più in una fase in cui la Lega è il primo partito in Italia e Fdi è la forza politica che sta conoscendo la crescita di consenso più consistente – potranno portare a casa un maggior numero di poltrone e continuare a sbraitare contro i partiti che “la casta” l’hanno difesa!

“Marxisti” per il No in difesa… della democrazia borghese

Esaminiamo adesso le posizioni espresse da diversi gruppi della “sinistra radicale”. Tralasciando il “Partito comunista” di Marco Rizzo, che invita a votare No “per affossare il movimento 5 stelle”, argomentazione che conferma la pochezza di questo gruppo sovranista e reazionario nemico dei lavoratori e dell’internazionalismo proletario, ci soffermiamo su alcuni gruppi che si rifanno al marxismo, e in particolare al trotskismo.

Fra questi gruppi, uno dei primi ad aver preso posizione in merito alla consultazione referendaria, esprimendosi per il No, è stato Sinistra anticapitalista (Sa). Il problema di Sinistra anticapitalista, come si può leggere nel suo comunicato che riportiamo in nota11, è che milioni di italiani non sono rappresentati nel parlamento borghese e che quindi la sinistra (di sinistra infatti si parla, non di comunisti) deve trovare degli spazi lì dentro. Fra poco affronteremo tale questione, effettivamente centrale, della “rappresentanza”, anche se lo faremo da una prospettiva ben diversa da quella di Sa.

Anche il Partito comunista dei lavoratori (Pcl) non ha perso tempo nel fare il proprio appello al voto12. Pure il Pcl, ovviamente, come altri gruppi “marxisti” in difesa del No, dice di non nutrire alcuna illusione verso le istituzioni borghesi. Sostiene, anzi, di ambire alla “democrazia dei consigli dei lavoratori”. Ma intanto, così come altri soggetti “comunisti”, vota No per difendere gli “spazi di agibilità” (di chi? Fra poco lo vedremo) all’interno della democrazia borghese. Ovviamente, siccome l’obiettivo è portare Ferrando (o chi per lui) in parlamento, in modo tale che le masse operaie possano assimilare il verbo marxista vedendo e ascoltando il tribuno rivoluzionario, il Pcl si batte anche per il sistema proporzionale e l’abolizione delle soglie di sbarramento. Ma il punto più interessante del suo comunicato è laddove il Pcl sostiene di battersi per i “finanziamenti pubblici ai partiti in proporzione ai voti ottenuti”: in pratica, pur di avere un po’ di briciole, i ferrandiani vogliono regalare ai partiti borghesi ulteriori soldi sottratti alle tasche dei proletari! Come se nelle casse di queste organizzazioni antioperaie non giungessero già valanghe di denari da banche e imprese (finanziamenti privati che il Pcl si illude di eliminare attraverso gli slogan)…

Senza contare che alcuni “coordinamenti” locali della cosiddetta “sinistra di opposizione”, cioè gruppi formati dall’aggregazione dei “militanti” del Pcl con quelli del Pci di Alboresi e di altri gruppi riformisti, rivendicano apertamente, come leggiamo nei loro profili facebook, la necessità di difendere “la Costituzione e la democrazia” che “sono per l’ennesima volta messe in pericolo dal sistema di potere di destra e di falsa sinistra”13!

Il rischio, da parte di questi gruppi “marxisti”, di scivolare più o meno consapevolmente verso la difesa della democrazia borghese è molto alto, come si evince da vari comunicati che circolano in rete14,15. E la contraddizione che più chiaramente si presenta, nella maggior parte di questi comunicati, è il fatto di sostenere il No “senza tuttavia alimentare alcuna illusione nella democrazia borghese”: si tratta di posizioni logicamente e politicamente assurde, e loro stessi talvolta se ne rendono conto: tant’è vero che – davanti alle obiezioni – si affannano sistematicamente a difenderle utilizzando un vecchio espediente retorico: quello del ricorso alla citazione.

Per il materialismo dialettico, contro il dogmatismo e il citazionismo

Adesso illustreremo la nostra posizione e, per farlo, cominceremo facendo riferimento – per contrasto – a un testo pubblicato su un blog che si rifà al trotskismo16. Lo citiamo perché fra i tanti testi che circolano in rete ci pare essere quello che, apparentemente, sostiene con maggiore efficacia le ragioni del No da una prospettiva “marxista”. Diciamo “apparentemente” perché, in realtà, il testo in questione può esercitare forse maggiore suggestione solo perché fa leva su una caratteristica ahinoi diffusa fra i militanti che si rifanno al marxismo: il dogmatismo, cioè il culto (in quanto tale: acritico e anti marxista) dei grandi rivoluzionari del passato, culto che questo testo solletica anche attraverso il ricorso a citazioni selezionate, e decontestualizzate, ad hoc. Intendiamo polemizzare non per il gusto della polemica fine a se stessa, ma perché da marxisti riteniamo utile la polemica politica al fine di chiarire le questioni che sono oggetto di discussione.

Parlando intanto di questioni di metodo, non si può non notare che parecchi “marxisti” per difendere le proprie posizioni (oggi il No al referendum) fanno spesso riferimento a citazioni di Marx, Lenin, Trotsky ecc trasformandoli così da rivoluzionari ad auctoritates. Un metodo che ricorda quello dei “dottori” medievali che per “dimostrare” le loro posizioni si appoggiavano costantemente ai testi sacri o a quelli dei “Padri della Chiesa”. Non solo. Pur ammettendo per un attimo l’ipotesi (assurda) che Lenin o Trotsky fossero infallibili, così come i Vangeli per gli scolastici medievali, cioè facendo finta che non abbiano mai sbagliato, ricordiamo comunque che erano gli stessi rivoluzionari del passato a rimarcare come il marxismo vada costantemente aggiornato sulle sue basi, a rimarcare cioè che il marxismo non si riduce a una sterile ripetizione meccanica di teorizzazioni e parole d’ordine valide in ogni tempo e luogo (così come viene inteso da parecchi soggetti che pur si richiamano al “marxismo”) e che, ferma restando la dimensione strategica, le tattiche vanno elaborate – materialisticamente, non metafisicamente – in riferimento alla fase storica precisa e alle condizioni oggettive/soggettive presenti in un dato tempo/luogo.

L’articolista in questione, invece, giustifica il suo No al referendum sulla base di eventi accaduti un secolo fa, non solo dando per scontato che la tattica usata allora da Lenin sia stata corretta (verità che non si sforza di dimostrare con argomenti, trattandosi per lui evidentemente di un dogma) ma anche dimenticando – o rimuovendo – che l’Italia del XXI secolo non è la Russia zarista di inizio Novecento, che ai primi del ‘900 in Russia non era nemmeno arrivata la liberaldemocrazia mentre nell’Italia del XXI secolo la liberaldemocrazia ha ormai una storia (tragica) di circa 150 anni, è stata pure accantonata per un ventennio quando non faceva comodo alla borghesia, e dopo il crollo del fascismo è rientrata dalla finestra in versione repubblicana, sempre per volere della borghesia, con finalità evidentemente reazionarie, cioè per scongiurare il rischio rivoluzionario e l’esproprio della grande proprietà privata. È mai possibile che dei “bordighisti d’accatto” “settari” e “dogmatici” (così il testo in questione definisce coloro i quali esprimono la nostra posizione) riflettono su queste cose mentre ai “marxisti rivoluzionari” tali “dettagli” sfuggono? Ed è paradossale che, nella furia citazionista, certi rivoluzionari inciampino nelle loro stesse citazioni: difatti, come diceva Lenin, riportato testualmente dallo scolaro poco diligente: “trasportare alla cieca, per spirito d’imitazione, acriticamente questa esperienza in condizioni diverse, in una situazione diversa, è un gravissimo errore”!

Con un colpo di spugna, certi rivoluzionari, all’assalto delle citazioni più che del cielo, eliminano centocinquant’anni di storia e preferiscono affidarsi all’autorità de “L’estremismo” di Lenin, il testo più citato e strumentalizzato dai riformisti negli ultimi decenni, per difendere le proprie posizioni e, allo stesso tempo, per gettare discredito su coloro i quali si sforzano di usare il metodo del materialismo dialettico, cioè il metodo marxista, senza idolatrare qualche santo del “marxismo”.17

Passando dal metodo al merito, leggiamo in questo articolo che la propaganda per il No al referendum va fatta “per tornare in mezzo alle classi subalterne e cercare con esse un dialogo che manca ormai da tanto tempo riallacciando un legame necessario per uscire dalla marginalità in cui stiamo affogando”. È un altro vecchio ritornello che abbiamo sentito ripetere spesso in questi anni. Il punto è che, essendo le istituzioni borghesi – per ovvi motivi – larghissimamente delegittimate, gran parte della popolazione non si reca alle urne né si interessa dei teatrini elettorali. Per il resto, una parte crede per fede alla “democrazia” mentre un’altra parte partecipa al gioco truccato solo per difendere i propri grandi o piccoli interessi di classe o di parte. Ergo, con chi esattamente si crede di poter “dialogare” esprimendo certe posizioni? Non certo con la larga parte di popolazione che non vota, dato che questa – al contrario dei “marxisti” per il No – non è interessata alla difesa degli spazi “formali” di “agibilità democratica” e alle disquisizioni intorno ad essa. Né ci sembra una mossa astuta, per un rivoluzionario, riportare dentro le urne qualcuno che ha già intuito, senza aver letto il Capitale, che quella strada non spunta! Si tratta dunque di convincere qualche inguaribile credente nella democrazia del fatto che non bisogna avere fede nella democrazia stessa, e di convincerlo però invitandolo a difendere la “democrazia”, sia pure nella sua “formalità”?! Oppure si tratta di convincere con argomenti morali quelli che partecipano alla competizione elettorale per il proprio interesse personale/di parte?

Insomma, non è chiaro chi siano effettivamente le “classi subalterne” cui si allude nell’articolo in oggetto e con le quali si vorrebbe “interloquire”. E, comunque, siamo sicuri che l’elettoralismo (o comunque lo si voglia chiamare) sia funzionale a “uscire dalla marginalità in cui stiamo affogando”? L’unica cosa certa è che la tattica proposta, a giudicare da come sono andate le cose in questi anni, non pare avere sortito gli effetti sperati. Sul piano elettorale, i risultati da zero virgola zero dei vari gruppetti che partecipano sistematicamente – quando ne hanno la forza, e ormai con sempre maggiore fatica – alle elezioni per il parlamento borghese o per le assemblee elettive locali vanno sempre a peggiorare e, soprattutto, l’utilizzo della “tribuna elettorale” per propagandare il “programma rivoluzionario” (che, tra l’altro, spesso in realtà è un programma riformista) nelle svariate campagne elettorali di ogni tipo non ha aiutato la crescita dei vari gruppetti, i quali anzi conoscono un’emorragia inarrestabile di militanti, a causa delle loro politiche opportunistiche, e sono ormai ridotti ai minimi termini (ovviamente, mai per demeriti loro e sempre a causa dell’arretratezza delle “condizioni oggettive”, delle masse che “non capiscono” e dell’azione dei vari “sabotatori”).

Una teoria/pratica politica dovrebbe anche essere sottoposta alla verifica dei fatti; ma questi “rivoluzionari”, pur essendo così antidogmatici, chissà perché, evitano scientificamente di fare un bilancio delle proprie analisi e dei risultati della propria azione politica, quando non si arriva a falsificarli questi bilanci, fino al punto da celebrare i disastri come “successi”…

I parlamenti non consentono “spazi di agibilità democratica” ai lavoratori salariati e agli oppressi

In realtà, anche dietro questa discussione intorno al referendum, come in tutte quelle che infiammano diffusamente gli animi e le opposte fazioni borghesi, si cela un falso problema. Non è infatti il numero di parlamentari che cambia la sostanza delle cose, e cioè – come abbiamo già detto – il fatto che la “democrazia” in cui viviamo è in realtà una falsa democrazia, riducendosi a una sovrastruttura funzionale al mantenimento della struttura economica vigente e alla preservazione del potere nelle mani della classe dominante.

Ai “marxisti” che richiamano la necessità di difendere “gli spazi di agibilità democratica” nel quadro del capitalismo rispondiamo che siamo d’accordo, ma diciamo altresì che tali “spazi di agibilità”, tanto più in una fase storica in cui il padronato non ha nemmeno più briciole da distribuire, non si difendono mica nei parlamenti, che sono rappresentativi della borghesia, non certo dei lavoratori salariati e degli oppressi. Sempre a proposito della “rappresentanza” di cui parlano alcuni “marxisti”, sarebbe ridicolo pensare che i lavoratori, i disoccupati, i precari per difendere la loro “agibilità democratica” debbano fare affidamento su qualche parlamentare in più del “centrosinistra”, o delle sue sinistre appendici, che in questi anni hanno contribuito al massacro sociale con finanziarie di lacrime e sangue, tagli ai servizi pubblici, precarizzazione del lavoro, politiche xenofobe, securitarie, militariste ecc, spesso anche anticipando la destra e spianandole il terreno (la lista sarebbe lunga, ci limitiamo a citare i recenti decreti di Minniti che hanno anticipato le misure razziste di Salvini). Così come sarebbe ridicolo pensare che ci si debba affidare a qualche parlamentare di qualche nuovo gruppo riformista che propone le medesime ricette fallimentari già viste mille volte, peraltro con l’aggravante di farlo fuori tempo massimo, senza mettere in discussione il capitalismo e le relative sovrastrutture.

Né la sostanza del discorso cambierebbe nell’ipotesi, oggi remota, avanzata da qualche compagno, rispetto alla possibilità che in futuro possa esserci in parlamento una rappresentanza di un partito operaio. Non cambierebbe nulla perché il senso ultimo della questione, ribadiamo, è che la possibilità di difesa degli spazi democratici non dipende certo dai parlamenti e dai governi borghesi, bensì da una serie di fattori come la congiuntura economica, i rapporti di forza fra le classi, la conflittualità sociale espressa in una precisa fase storica dai lavoratori, dalle lavoratrici, dagli oppressi i quali con la lotta di classe a livello di massa possono eventualmente riuscire a esercitare pressioni sulle sovrastrutture politiche. Piuttosto che pensare a eventuali rappresentanze di partiti operai nel parlamento borghese, quindi, riteniamo che bisognerebbe lavorare per riuscire ad avviare la costruzione di questo partito rivoluzionario internazionalista, nel vivo delle lotte, opera di edificazione di cui purtroppo ancora non si vedono gli albori, per motivi su cui in questa sede non ci possiamo soffermare.

Sul presunto rischio del “fascismo”

Qualcuno ci dice: “al peggio non c’è mai fine”, “di questo passo si rischia il fascismo”. Sorvolando sull’abuso che è stato fatto in questi anni dello spauracchio “fascista”, uno spauracchio agitato innumerevoli volte dagli “antifascisti” di sistema in funzione elettoralista, ci preme far notare che il passaggio dalla democrazia borghese (con un numero più o meno ampio di parlamentari) al fascismo non è una questione quantitativa ma implica un salto qualitativo. Non è certo un parlamento più numeroso o più spostato a “sinistra” che può eventualmente arginare il rischio del fascismo. L’eventuale salto qualitativo dipende dai fattori precedentemente indicati, difatti il fascismo storicamente è stata la scelta drastica che il padronato ha fatto in una fase in cui l’ascesa della lotta di classe (c’era stata la Rivoluzione in Russia e in Europa si era scatenato il “Biennio rosso”) metteva a rischio la difesa della sacra proprietà privata. Situazione ben diversa da quella attuale, certamente in Italia, dove la sostanziale pace sociale e l’assenza totale persino di un embrione di direzione rivoluzionaria fa dormire ai padroni sonni tranquilli, al punto che gli stessi non hanno per il momento alcun bisogno di sporcarsi le mani ricorrendo al fascismo. E se un giorno avranno bisogno di ricorrere ad esso, non saranno certo i parlamenti “democratici” a impedirlo.

Studiare realmente la storia può essere utile a orientarsi. In Italia i fascisti presero il potere nel 1922, eppure allora avevano solo 35 deputati su oltre 500 (per capirci, oggi Lega e Fratelli d’Italia, che sono le forze più a destra nello scacchiere politico parlamentare, formate da persone che certamente ieri sarebbero state accanto al Duce, assieme ne hanno oltre 150 su 630) mentre comunisti e socialisti (cioè la “sinistra” di allora, che peraltro rispetto a quella attuale aveva un radicamento di massa e un peso complessivo notevolmente superiore) avevano nel complesso circa 140 seggi alla Camera a fronte della pressoché totale assenza oggi persino di una rappresentanza non diciamo comunista ma anche soltanto “socialdemocratica” (assenza non casuale visto che nell’attuale fase storica, come dicevamo, il riformismo è per giunta impraticabile non essendoci grasso che cola). Facciamo questo esempio giusto per demistificare certi luoghi comuni, cioè la convinzione (idealistica) per cui il fascismo andrebbe combattuto nei parlamenti dando loro una tinteggiatura più rossastra.

Conclusioni

In conclusione, non partecipiamo al voto referendario e invitiamo a non partecipare. Non perché siamo “astensionisti”, come ci dice spregiativamente qualche “marxista” impegnato in difesa del No (fermo restando che l’astensione per noi è certamente più dignitosa del partecipare al gioco truccato della borghesia e – conseguentemente – del contribuire, lo si comprenda o meno, ad alimentare illusioni istituzionaliste). E tanto meno perché siamo “astensionisti di principio”, etichetta che ci viene attribuita da certi “marxisti” sulla base del loro elettoralismo, quello sì “di principio”, come abbiamo provato a spiegare in questo articolo.

Il punto è che per capire “Che fare” (rispetto al quale, al contrario di altri, non abbiamo la presunzione di possedere il verbo) occorre prima di tutto capire che cosa non si deve fare. E riteniamo che una prima pratica, essenziale, che i comunisti devono seguire è quella di tagliare i ponti con l’istituzionalismo, in tutte le sue varianti, anche – e soprattutto – con quello camuffato con citazioni “marxiste”. Dunque, la non partecipazione al voto, così come alle passerelle elettoralistiche, è per noi più che una semplice astensione, la quale implica un mero disinteresse per la questione: costituisce, infatti, parte dell’impegno attivo che i marxisti devono mettere in atto quotidianamente contro le istituzioni borghesi e i suoi tranelli, rappresenta parte integrante e necessaria, per quanto ovviamente insufficiente, del Che fare in questa fase storica. A giudicare dal disastro teorico/pratico che vediamo attorno a noi, non ci sembra sia una cosa da poco.

Note

  1. https://www.adnkronos.com/fatti/politica/2020/08/27/referendum-orfini-taglio-secco-parlamentari-mai-proposto_lMrKmsPgMu2g0Mt4uLOgsN.html
  2. https://www.dire.it/03-06-2020/468697-de-luca-taglio-dei-parlamentari-inutile-leggi-scritte-da-persone-in-guerra-con-la-grammatica/
  3. https://www.la7.it/laria-che-tira/video/referendum-taglio-parlamentari-laffondo-di-carlo-calenda-di-maio-e-la-casta-m5s-disgrazia-nazionale-31-08-2020-337605
  4. https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/08/28/referendum-renzi-taglio-parlamentari-non-e-una-riforma-costituzionale-e-uno-spot-non-si-supera-il-bicameralismo-perfetto/5913352/
  5. https://www.repubblica.it/politica/2020/08/28/news/bonino_una_maratona_oratoria_per_il_no_al_referendum_-265729363/
  6. https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/08/27/news/referendum-sardine-1.352466?preview=true
  7. https://rep.repubblica.it/pwa/intervista/2020/08/25/news/fratoianni_-265467761/
  8. https://www.repubblica.it/politica/2020/08/30/news/taglio_dei_parlamentari_berlusconi_atto_demagogico_-265824762/
  9. https://palermo.repubblica.it/politica/2020/09/05/news/musumeci_spiega_ai_suoi_la_ragioni_del_no_al_referendum_vanno_tagliati_i_privilegi_degli_eletti_-266349724/
  10. https://www.adnkronos.com/fatti/politica/2020/08/21/referendum-grillini-per-allarga-fronte-nel-ora-usciamo-allo-scoperto_SPt6P6nPNvxQDQKqy2X1qL.html
  11. https://anticapitalista.org/2020/08/20/referendum-un-caffe-amaro-in-cambio-del-taglio-del-parlamento/
    In questo testo ci si lamenta inoltre del fatto che la sinistra in passato si sia accodata al centrosinistra, sebbene proprio gli estensori di questo documento – allora facevano parte di Sinistra critica – anni fa sostennero il governo antioperaio di Prodi vestendo, in quella drammatica sceneggiata, la parte di quelli che educatamente avanzavano qualche “critica” da sinistra.
    E, se non fosse stato sufficientemente chiaro, pochi giorni dopo Sinistra Anticapitalista ha pubblicato sul suo sito un ulteriore appello col quale ha invitato “tutti coloro che hanno a cuore le sorti della democrazia” a votare no: https://anticapitalista.org/2020/09/02/sinistra-anticapitalista-per-il-no-al-referendum-costituzionale/
  12. https://www.pclavoratori.it/files/index.php?obj=NEWS&oid=6682
  13. https://www.facebook.com/coordinamentounitariosinistreopposizionecl
  14. Cfr a titolo di esempio: https://resistenzeinternazionali.it/2020/08/referendum-costituzionale-le-ragioni-del-no/
    Anche nel testo di questo gruppo che fa riferimento al trotskismo – al di là delle inesattezze riportate, di un certo massimalismo parolaio che aggiunge involontaria comicità, e dell’ingenuità di certe posizioni (tipo la rivendicazione qualunquistica del mero “taglio degli stipendi”, come se tale misura non dovesse comunque passare dai parlamentari, che non hanno alcuna intenzione di promuoverla, e come se – in ogni caso – dei parlamentari con stipendi inferiori non fossero comunque organici alle logiche di sistema) – si scrive con toni allarmati che “tagliare drasticamente il numero dei parlamentari significa tagliare la democrazia e gli spazi di rappresentanza” giungendo così di fatto alla difesa della democrazia borghese, anche se poi lo si vorrebbe negare attraverso i soliti maldestri artifici retorici. Le posizioni espresse da alcuni gruppi che si richiamano al “marxismo rivoluzionario” finiscono quindi col coincidere con la posizione dei gruppi apertamente riformisti come Rifondazione comunista e Potere al popolo, i quali votano No per impedire il “taglio della democrazia” e per preservare la Costituzione borghese, cioè la carta che difende la proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio, fonte di ogni diseguaglianza:
    https://www.youtube.com/watch?v=kGMISTpV-7c
    https://poterealpopolo.org/io-dico-no-referendum-sul-taglio-dei-parlamentari/
  15. Sullo stesso tenore degli appelli di altri gruppi della sinistra radicale è quello pubblicato dal Partito di Alternativa Comunista (Pdac), gruppo ormai ridotto ai minimi termini, assente nella lotta di classe e rintanato nel mondo virtuale nel quale organizza videoassemblee invitando come relatori persino esponenti di gruppi clericali come Libera di Don Ciotti. Attività, quest’ultima, che evidentemente per il Pdac rientra nel lavoro volto alla “abolizione dello Stato borghese” e alla “creazione di uno Stato operaio”. Anche il Pdac, nel suo caotico comunicato, fa appello idealisticamente a votare “No” per difendere il “piccolo spazio democratico” che si ritiene il parlamento borghese possa eventualmente offrire, salvo allo stesso tempo, nel vano tentativo di smarcarsi dalla sinistra riformista e mettersi la coscienza a posto, specificare che votare no “è inutile senza una prospettiva rivoluzionaria”, prospettiva che il Pdac coltiva con delle modalità che non possiamo qui affrontare ma che ci riserviamo eventualmente di analizzare prossimamente in un articolo apposito.
    https://www.alternativacomunista.it/politica/nazionale/referendum-votare-si-e-reazionario-votare-no-senza-una-prospettiva-rivoluzionaria-e-inutile
  16. https://www.assaltoalcielo.it/2020/08/28/contro-lestremismo-iper-rivoluzionario/
  17. E, per “attualizzare”, oltre a citare Lenin, l’articolista pensa bene di sottoporci anche una lezioncina di marxismo da parte di un altro “rivoluzionario”, che evidentemente trova posto anch’esso nel pantheon di “Assalto al cielo”, cioè tale Valerio Arcary, “teorico” del Psol, partito riformista brasiliano che di fatto in questi anni è stato alla coda del Pt (come fino a poco tempo fa denunciava lo stesso autore dell’articolo da noi richiamato), cioè di uno dei principali partiti dell’establishment in Brasile!

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