Recessione e pandemia

Una panoramica sulla crisi sanitaria ed economica in Italia

Condividendo il contenuto di questo articolo delle/dei compagne/i di Prospettiva Operaia, lo ripubblichiamo

Nel bel mezzo della “Terza grande depressione” del capitalismo, la pandemia da Covid-19 e le misure adottate per contenerla hanno determinato una nuova recessione di portata eccezionale in tutto il mondo. Quella italiana è la più grave mai registrata in tempo di pace e il persistere della pandemia nonché le condizioni in cui versa il sistema economico fanno sì che l’uscita da questa recessione potrà risultare molto lenta e complicata.

L’accelerazione della crisi, dovuta alla pandemia, ha colpito in pieno il capitalismo italiano, già di per sé molto debole. Il debito pubblico è arrivato a livelli mai raggiunti dai primi vent’anni del novecento: per quest’anno si attende un debito pari al 158% del PIL, in calo del 9%. Il governatore della banca d’Italia Visco ha dichiarato che per tornare ai livelli pre-covid si dovrà aspettare almeno il 2023 e sarà necessario più tempo per tornare ai livelli del 2007, precedenti la doppia recessione causata dalla crisi finanziaria globale e da quella dei debiti sovrani dell’area euro.

Le politiche di contenimento e di convivenza con la Covid sono risultate disastrose dal punto di vista sanitario. L’Italia è il paese con la più alta percentuale di morti positivi al covid registrati, 111,23 decessi ogni 100mila abitanti, per un totale di oltre 70mila vittime. Dai dati Istat, nel 2020 si sono superati i 700mila morti, contro i 647mila del 2019 e mai così tanti dal 1944, nel pieno della seconda guerra mondiale, quando però la popolazione italiana era intorno ai 44 milioni di abitanti. Questo senza contare possibili morti future causate dall’aumento della vita sedentaria e dal rallentamento di misure preventive e cura di altre malattie, a causa del grande sforzo a cui è stato sottoposto il sistema sanitario, saccheggiato da anni di tagli e privatizzazioni e con un piano di emergenza pandemica mai aggiornato dal 2006, nonostante l’attuale situazione sanitaria (storicamente condizionata dal declino del capitale) sia caratterizzata da autorità mediche e scientifiche come un’epoca di “epidemia di epidemie”.

L’impasse della borghesia di fronte all’emergenza sanitaria in Italia

L’impossibilità di un blocco totale della produzione, fattore principale del dilagare della pandemia, ha fatto in modo di scaricare maggiormente i danni economici su settori “sacrificabili”, nelle mani della piccola e media impresa, e di conseguenza sui relativi lavoratori e lavoratrici dipendenti, allargando crepe interne già presenti nella borghesia.

Sebbene, però, la crisi sanitaria abbia colpito profondamente soprattutto settori legati alla mobilità e alle occasioni d’incontro delle persone, ostacolandone produzione e consumo, bisogna osservare come questa abbia accelerato ed evidenziato molti processi interni alla crisi economica già in atto da molti anni: la riduzione dei consumi che favorisce inevitabilmente i processi di sovrapproduzione, la tendenza al monopolio da parte di alcuni gruppi capitalisti, l’incremento della disoccupazione e delle disuguaglianze sociali. Da marzo i miliardari sono aumentati da 36 a 40 e il loro patrimonio è cresciuto da 125,6 a 182,1 miliardi, mentre quasi un terzo delle famiglie ha visto il proprio reddito ridursi di più del 25% e le Caritas hanno registrato un aumento del numero di persone seguite del 12,7% rispetto al 2019.

Il calo occupazionale ha inciso in misura rilevante soprattutto sull’occupazione femminile, per effetto del peggiore andamento dei settori in cui le donne rappresentano una quota consistente della forza lavoro (come ad esempio i servizi turistici), e sui giovani. In ottobre, quando ancora non erano attive molte chiusure, secondo i dati Istat, la percentuale di disoccupazione giovanile tra 15 e 24 anni era aumentata del 3% rispetto agli anni precedenti.

La pandemia ha inoltre affrettato una profonda revisione delle modalità di lavoro. Per consentire la continuità dei servizi sia nel settore pubblico sia in quello privato molte attività sono state svolte da casa, ed è probabile che questa esperienza abbia effetti importanti anche dopo l’emergenza. L’accesso al lavoro delocalizzato penalizza le lavoratrici e i lavoratori a bassa specializzazione e a basso reddito. Sotto questo e altri profili la pandemia e la recessione stanno accentuando le disuguaglianze già esistenti. Questo fattore, inoltre, influirebbe su tutta l’economia che “gira intorno agli uffici” (bar, tavole calde…).

I lavoratori e le lavoratrici dipendenti hanno sofferto dal punto di vista economico in maniera diversa a seconda del grado di professionalizzazione, in continuità con gli effetti dovuti ai mutamenti del mercato del lavoro a seguito della quarta rivoluzione industriale. Tuttavia, dobbiamo tenere conto che questa sofferenza è stata lenita dal blocco dei licenziamenti, il quale, se non venisse prorogato oltre la fine di marzo, potrà incrementare la tensione sociale accumulata nell’ultimo anno.

I riflessi nell’economia reale si sono mostrati attraverso un eccezionale crollo dei consumi: 110 miliardi di euro in meno rispetto al 2019. È questo l’allarme di Confesercenti che ha anche dichiarato a rischio chiusura 150mila imprese (commercio, turismo, servizi…) con conseguente licenziamento di 450mila lavoratori. Si è accentuata anche la tendenza a comprare online, favorendo molti più introiti per i colossi del settore come Amazon, a scapito dei piccoli commercianti. Il crollo dei consumi dovuto alle chiusure, unito all’incertezza dettata dalla crisi, ha favorito una crescita dei risparmi (+126 miliardi di euro in 12 mesi), anche questa già in aumento negli ultimi 15 anni.

La piccola borghesia è stata quindi la più colpita e dopo la fine della luna di miele con i 5 Stelle si è dimostrato come non esista una forza politica borghese in grado ad andarle incontro. A cavalcare il suo malcontento sono state piccole realtà di estrema destra e negazioniste.

Per quanto riguarda la grande impresa nazionale, il 2020 ha visto anche il consolidarsi del ritorno dell’interventismo statale nei grandi settori strategici, misure che pongono un freno a una maggiore integrazione politica ed economica dell’UE, ne alimentano la decadenza, non risolvono le crisi aziendali ed economicamente fungono soltanto da socializzazione delle perdite. Dall’inizio della pandemia il governo, approfittando della volontà momentanea di Bruxelles di trascurare lo stato delle finanze pubbliche del paese, ha ricapitalizzato Alitalia, non redditizia da oltre due decenni, e ritardato la vendita di parte degli asset di rete di Telecom Italia a KKR (spingendo per la creazione di un’unica rete nazionale in fibra ottica). Inoltre, Invitalia, l’Agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, acquisirà il controllo del ramo di ArcelorMittal degli stabilimenti dell’acciaieria ex-ILVA di Taranto. Questa aveva risentito della crisi internazionale di sovrapproduzione dell’acciaio, la cui metà della produzione del pianeta è gestita dalla sola Cina.

L’ingresso nel 2021

La manovra economica per il 2021 non è niente di più che un tentativo disperato di rimediare ad alcuni dei problemi finora esposti, attraverso finanziamenti diretti verso i settori colpiti (commercio, mobilità aerea, partite iva), sgravi fiscali per l’assunzione di donne e giovani, esenzione dalle ritenute su dividendi e plusvalenze anche per le società estere come via d’uscita dall’economia stagnante e per attrarre nuovi investimenti nel paese, bonus auto per favorire un ritorno dei consumi nell’avanguardia green dell’industria automobilistica.

Sul piano di spesa dei finanziamenti europei del recovery fund grava, invece, una responsabilità enorme. L’aumento del debito pubblico che ne seguirà, se non dovesse generare abbastanza ricchezza da ripagarne una parte, accelererebbe la strada verso un possibile default. Il governo Conte dovrà presentare un programma soddisfacente e fare anche delle scelte mirate sulle imprese da salvare, come ha esplicitato al G30 Mario Draghi, il sostituto più gettonato in caso di eventuale crisi di governo.

Nonostante i caratteri peculiari, la crisi italiana è il riflesso della crisi storica mondiale della borghesia.  Benché questa recessione abbia a che fare in maniera diretta con la pandemia, ha finito per accompagnare processi irreversibili della crisi. Lo straordinario livello raggiunto dalle forze produttive favorisce la sovrapproduzione nei settori tradizionali e fa in modo che settori diversi viaggino economicamente a velocità totalmente diverse a seconda del loro grado di avanguardia tecnologica e che paghino anche la crisi pandemica in modo diverso. Tutto questo è a svantaggio delle PMI e anche della grande industria nazionale, travolta dalla crescente competitività del mercato internazionale. I pilastri e la spina dorsale dell’economia nazionale crollano, lo Stato si avvia verso la bancarotta, il ceto medio s’impoverisce, l’economia reale soffre del conseguente crollo dei consumi: gli “equilibri” che avevano caratterizzato la vittoria del capitalismo nel ‘900 vanno in frantumi. Le voragini interne alla borghesia aprono la crisi del suo dominio politico e si riflettono anche sui lavoratori, favorendo disuguaglianze interne alla stessa classe che minano alla sua unità.

Le misure della manovra economica, l’interventismo statale e il recovery fund sono le uniche risposte che la politica riesce a dare. Sono interventi volti alla difesa del capitale e al salvataggio della borghesia, scaricando in maniera diretta (soldi pubblici) o indiretta (aumento del debito) i costi sulla classe lavoratrice ma allo stesso tempo aggravando la crisi interna alla borghesia perché non sono in grado di agire sulle cause, strettamente legate alla sua esistenza e alla proprietà privata dei mezzi di produzione (che hanno raggiunto una potenza tecnologica incontrollabile in un mercato competitivo), ma soltanto sugli effetti (mancanza d’investimenti, crollo dei consumi, imprese in crisi, etc.).

Per non pagare la crisi, la classe lavoratrice dovrà ricompattarsi in una lotta per i suoi interessi storici, quindi per un governo dei lavoratori che espropri questi parassiti e pianifichi l’economia in compatibilità con la vita umana e in armonia con la storia e il progresso.

NI 05/01/2021

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