Ucraina 2014-2022: Rivoluzione, controrivoluzione e guerra

2014: Il governo di Yanukovich cercava di applicare il piano del FMI, di svendita della nazione e di attacco brutale alla classe operaia ucraina

Nel 2014, l’Ucraina era governata da Yanukovich, un multimilionario socio di Putin, entrambi provenienti dalla vecchia nomenklatura controrivoluzionaria stalinista che ha consegnato l’URSS all’imperialismo.
Il governo di Yanukovich ha applicato i piani del Fondo Monetario Internazionale (FMI) per saccheggiare l’Ucraina e attaccare brutalmente la classe operaia nel modo più feroce dal 1989. La crisi aveva già costretto alla migrazione due milioni di lavoratori, sfuggiti all’atroce miseria dell’Ucraina e andati a lavorare come operai di seconda classe nell’Unione Europea imperialista di Maastricht.

Nel 1989, quando le ex repubbliche sovietiche dell’Eurasia ottenevano la loro “indipendenza” dalla Russia, cadevano sotto gli artigli delle potenze imperialiste, che portarono loro via fino all’ultima goccia della loro ricchezza e dello sfruttamento delle loro classi lavoratrici, come fanno ancora oggi. Le nuove classi possidenti emergenti si associavano rapidamente al capitale finanziario internazionale come soci minori. Questi Paesi borghesi nacquero già direttamente come colonie o semi-colonie.
Lo stesso accadde in Ucraina, che ebbe vari governi borghesi emergenti dal vecchio partito stalinista. Questi governi non fecero altro che approfondire la sottomissione della nazione ucraina all’imperialismo. Inoltre, quella stessa borghesia continuava parte degli affari che la vecchia ucraina sovietica aveva con la Russia; come nella regione del Donbass, la cui industria mineraria era articolata con l’apparato militare industriale russo in una divisione del lavoro al confine orientale dell’Ucraina.
L’Ucraina che si dichiarava “indipendente” finì per essere, nelle mani della borghesia, una nazione semi-coloniale oppressa, un collegamento e una strada della Russia verso i Paesi dell’ex Patto di Varsavia e l’Europa imperialista. È una delle nazioni più ricche e una delle più agognate dalle potenze imperialiste a partire dalla restaurazione capitalista del 1989. È anche un punto di uscita chiave dell’enorme ricchezza russa di gas che fluisce in Europa. L’Ucraina è un produttore chiave di materie prime nel mondo. Ha una ricchezza enorme, saccheggiata dall’imperialismo, mentre è totalmente indebitata con il FMI.

Così, nel 1989 emerge un’Ucraina frantumata, in grave crisi, alla quale Mosca, prima con Eltsin e poi con Putin, scaricò addosso gran parte del debito estero russo con l’imperialismo, affinché fosse ​​l'”Ucraina indipendente” a pagarlo. Il governo di Yanukovich, che entrò in carica nel 2010 con il sostegno di Mosca, lanciò un’offensiva liberista sotto il comando del FMI, che strangolò la nazione e calpestò tutte le conquiste della classe operaia e delle masse popolari impoverite.
Scoppiò una crisi fenomenale. La nazione andava in default, con un debito estero superiore all’80% del suo PIL. La crisi sociale si faceva sempre più profonda, con i lavoratori che guadagnavano meno di cinquanta euro al mese, enormi aumenti dei prezzi delle utenze, crollo economico, default e di fronte alla tendenza all’irruzione delle masse e all’odio generalizzato contro il governo, si aprivano dissidi ai piani alti, in cui la borghesia ucraina e l’imperialismo discutevano su quale fosse il modo migliore per contenere le sollevazioni, riscuotere il debito estero e, al fine di farlo, applicare il piano del FMI.

Un settore della borghesia che si fa chiamare “filoeuropea” fece aumentare il debito estero in negoziazioni leonine con il FMI. Il debito estero si convertì così in una valanga che non poteva essere pagata, come accade nella stragrande maggioranza dei Paesi del mondo.
Fu questo settore della borghesia “filoeuropea” che guidò il governo 2005-2010 di Viktor Yushenko e Yulia Timoshenko. Basandosi sulle finanze di Kiev e sulle commissioni dei gasdotti Russia-Europa che attraversano il Paese, questa cricca borghese voleva che l’Ucraina entrasse nell’UE di fronte alla crisi e al default del 2014. Essendo fuori dal governo, spingevano Yanukovich affinché applicasse l’attacco alle masse direttamente, come un “limone spremuto”, per garantire il pagamento del debito estero. Putin andò a recuperare il suo amico nel mezzo della crisi. Si offrì come garante del pagamento al FMI con 15 miliardi di euro, chiedendo in cambio che fosse lasciato indisturbato il suo uomo di fiducia a Kiev, cioè i suoi affari in Ucraina.

Diciamo che queste borghesie sono “filorusse” o “filoeuropee”, tra molte virgolette, perché questa élite dominante di una manciata di borghesi non ha patria. Quando si fanno chiamare “filorussi” o “filoeuropei” stanno solo parlando di affari, e sono sempre disposti a cambiare schieramento, sia con l’Est che con l’Ovest, stringendo accordi con chi lavora meglio per loro per realizzare enormi profitti come soci minori dell’imperialismo. Sei famiglie di oligarchi costituiscono l’élite governante dell’Ucraina, alleata delle diverse cricche imperialiste e associata all’apparato militar-industriale russo attraverso l’industria mineraria nell’est del Paese, come già abbiamo detto.
Come già denunciavamo in altri materiali della nostra corrente, Rinat Akhmetov, uno dei più grandi borghesi d’Ucraina, proprietario di una delle più grandi acciaierie di Mariupol e di parte delle miniere del Donbass che esportano in Russia, è stato uno dei più forti sostenitori e seguaci di Yanukovich fino al 2014. Ma alla sua caduta, quando cominciarono ondate di scioperi dei minatori del Donbass, che rifiutavano di accettare la chiusura delle miniere e i licenziamenti, questo oligarca “cambiò schieramento” e cominciò a sostenere il nuovo governo ucraino, quello di Poroshenko, il magnate del cioccolato. Questa piaga di parassiti borghesi proviene dalla stessa madre: dai traditori stalinisti, che rubarono a cielo aperto tutti i rami chiave della produzione dell’ex URSS mentre mantenevano il controllo dell’apparato statale, accumulando enormi ricchezze.

2014: un anno chiave in Ucraina

Quello che accadde nel 2014 non fu un colpo di stato, come proclamano in tutto il mondo lo sciacallo Putin e i traditori stalinisti. All’epoca, tutti loro sostenevano apertamente il piano del FMI applicato dal loro governo, quello di Yanukovich.

Il 2014 è stato l’anno di un’enorme sollevazione contro l’attacco del FMI, il governo di Yanukovich e i grandi capitalisti. Le masse irruppero affrontando il governo che vedevano come l’agente diretto di Mosca. Ciò rafforzò la cricca borghese “filoeuropea” che, per contenere le masse, promise loro il “paradiso” nell’UE, cercando di manipolarle con questo enorme inganno.
La sollevazione in piazza Maidan non avvenne perché le masse appoggiavano un colpo di stato contro Yanukovich, ma perché avevano fame, salari da miseria e milioni di famiglie sopravvivevano solo grazie alle rimesse dall’estero dai loro parenti migranti. Furono tre mesi di lotta, in una vera azione indipendente che ruppe ogni muro di contenimento eretto dalle diverse cricche borghesi, e così si unificarono le file operaie con i minatori dell’est, del Donbass, che rivendicavano la caduta di Yanukovich, perché voleva privatizzare le miniere. La frusta del capitale unì i lavoratori contro il governo.
Nel Donbass c’è un poderoso proletariato minerario, di quasi centomila lavoratori, che producono in miniere in gran parte obsolete e saccheggiate per decenni dalla burocrazia stalinista, che ha solamente rubato a proprio vantaggio e non ha investito un centesimo nell’adeguamento tecnologico. I minatori di questa regione erano nemici giurati della cricca “filoeuropea” di Kiev, poiché vedevano correttamente che questa cricca avrebbe chiuso la maggior parte delle miniere e avrebbe imposto migliaia di licenziamenti.
Ma nel 2014 i minatori del Donbass e gli operai delle grandi acciaierie, come quelli di Mariupol, non intervennero in difesa del “filorusso” Yanukovich, tutto il contrario. Il governo dell’amico di Mosca, applicando il piano del FMI, impose un attacco ai lavoratori del Donbass ancora maggiore di quello che promuoveva la Troika di Maastricht.

L’occupazione di piazza Maidan per mesi, le lotte delle masse per difendere quella piazza occupata, si trasformarono in un punto di riferimento per tutti gli sfruttati in Ucraina. Gli operai vi affrontarono la sanguinosa repressione del governo, organizzarono centinaia di marce e mobilitazioni in tutta Kiev, e giorno dopo giorno nuovi lavoratori, da diverse città, si sommarono alla lotta, fino a che arrivarono a paralizzare tutta l’Ucraina e il governo di Yanukovich rimase sospeso in aria senza alcun tipo di sostegno, se non quello di Putin. La sua caduta era inevitabile, ma prima porto a compimento un vero massacro in piazza Maidan, mandando la sua polizia armata ad uccidere indiscriminatamente i manifestanti.

Di fronte alla tendenza all’unità della classe operaia ucraina, e vista la crisi del governo, la borghesia “di opposizione” cercò di anticipare una crisi rivoluzionaria e inviò a piazza Maidan i suoi uomini, che nel Parlamento respingevano il piano del FMI di Yanukovich ma, cinicamente, in realtà, promettevano di fare lo stesso ma attraverso l’ingresso dell’Ucraina nell’UE. Gli stessi che avevano svenduto l’Ucraina al FMI nel loro governo dal 2005 al 2010, volevano ora far credere ai lavoratori, insieme ai pope della Chiesa ortodossa, che con l’Ucraina nell’UE avrebbero avuto lo stesso salario degli operai tedeschi o francesi.
Per molte settimane, i loro rappresentanti non poterono entrare in piazza Maidan. Per mesi non poterono nemmeno tenere un discorso in questa piazza senza essere fischiati; le masse identificavano l’intera borghesia come artefice delle loro sofferenze.
Riuscirono ad entrare nella piazza solo quando la polizia e le forze repressive la annegarono in un bagno di sangue. Prima che le masse prendessero le armi e sconfiggessero la polizia nelle strade, questo settore borghese inviò gruppi armati “fascisti”, che non erano altro che la guardia di sicurezza di Poroshenko. Erano travestiti da “difensori del popolo” contro la repressione, ma in realtà dovevano garantire che fosse la borghesia “di opposizione” a capitalizzare e tornasse a controllare le masse alla caduta di Yanukovich.
Così, questa borghesia cominciò a prendere il controllo della sollevazione di massa con le sue bande armate mascherate da “difensori del popolo”. Poterono farlo perché l’intera sinistra riformista e lo stalinismo internazionale sostenevano il “colpo di stato” portato avanti in Ucraina dal FMI e dal governo Yanukovich. Affinché questo controllo fosse effettivo, la borghesia “di opposizione”, ponendosi alla testa della sollevazione, apparve come quella che imponeva le dimissioni dell’odiato Yanukovich, espropriando e deviando la spinta rivoluzionaria delle masse. Si chiudeva così la crisi rivoluzionaria. Le élite dominanti consegnarono la testa di Yanukovich, ma mantennero il controllo del regime sugli sfruttati.

Questo era il piano per uscire dalla crisi organizzato dall’imperialismo, che utilizzò Yanukovich e i governi “filorussi” come “limoni spremuti” per attaccare le masse, per deviare poi le ascese di massa e porle ai piedi dell’Unione Europea. Insieme alla chiesa ucraina e la borghesia “di opposizione”, come lo fecero anche nel 2004, chiamarono a mettere in piedi “fronti democratici” che servirono solo per abortire quelle sollevazioni di massa.

I traditori partiti socialimperialisti, i burocrati stalinisti dei sindacati europei, si lamentano di questa “coscienza filoborghese” della classe operaia ucraina. Ma sono loro i responsabili della restaurazione della più feroce dittatura del capitale e dei governi borghesi in tutto il territorio dell’ex URSS. Inoltre, hanno incessantemente affermato che il loro modello è quello del “socialismo di mercato” cinese, con gli operai costretti alla schiavitù. Sono loro che gridano ai quattro venti che “il socialismo non funziona più”, come fanno dall’Avana negli ultimi anni.

La borghesia ucraina è riuscita a dirottare la sollevazione di piazza Maidan per responsabilità delle aristocrazie e burocrazie operaie d’Europa, delle direzioni della cosiddetta “nuova sinistra” che affermavano che era possibile conquistare una “UE sociale”, che era possibile “attenuare l’aggiustamento strutturale” e così sbarrarono la strada alla rivoluzione greca, alla sollevazione degli indignati operai dello Stato spagnolo e alle enormi lotte contro il brutale attacco scatenato dalla Quinta Repubblica francese che portava via le 35 ore di lavoro settimanale ai lavoratori, i quali persero anche tutte le loro conquiste.
Il limite che la sollevazione rivoluzionaria delle masse ucraine ha avuto nel 2014 è stato l’enorme tradimento della dirigenza della classe operaia europea. La classe operaia ucraina aveva ed ha sulle sue spalle il compito di lottare contro la restaurazione capitalista e per instaurare nuovamente la dittatura del proletariato con modalità rivoluzionarie per conquistare anche la più piccola delle sue rivendicazioni, insieme alla classe operaia delle ex nazioni sovietiche. Questo è un compito che non potrà realizzare da sola e deve contare sull’appoggio della classe operaia dell’UE e dell’intero continente europeo.

Così furono isolate le masse ucraine, che lottavano per avere salari europei, e la loro lotta fu divisa da quella dei lavoratori dei Paesi centrali.
Per la borghesia ucraina, entrare nell’UE significava rafforzare i suoi affari con i banditi imperialisti di Maastricht, in modo che potessero completare il saccheggio della nazione e pagare il FMI. Per gli operai ucraini, entrare in Europa significava, nella loro coscienza, guadagnare quanto gli operai dell’Europa di Maastricht, ovvero un salario mensile tra i millecinquecento e i duemila euro.
Nel 2009, i lavoratori della Renault in Romania rivendicavano che volevano guadagnare tanto quanto i lavoratori della Renault in Francia. Questa strada verso l’unità della classe operaia europea nella lotta è stata sbarrata dalle aristocrazie e dalle burocrazie operaie del continente. Hanno chiuso ai lavoratori del continente ogni prospettiva di uscire dalla loro miseria, impedendo la loro unità. E il risultato per i lavoratori dell’Est e dell’Ovest dell’Europa è stato terribile.
Questi tradimenti che hanno lasciato la maggior parte della classe operaia ucraina sottomessa alla borghesia “filoeuropea”, e così la classe operaia ucraina tornò ad essere divisa, nei momenti in cui i minatori del Donbass si sollevavano contro ogni tentativo di chiudere le loro miniere e i loro posti lavoro. La divisione dei ranghi operai ha aperto la strada alla spartizione dell’Ucraina. In un Paese semi-coloniale, la classe operaia è l’unica “classe nazionale”.

Dopo l’aborto della rivoluzione di Maidan si approfondisce l’attacco del FMI
La rivoluzione ucraina si rimette in piedi con una sollevazione operaia nel Donbass

Dopo la destituzione di Yanukovich, entrò in carica il presidente ad interim Turchinov, il cui compito era approfondire l’attacco del FMI, che includeva e si basava sulla privatizzazione, riconversione e la chiusura di acciaierie e miniere, che, come abbiamo detto prima, sono intimamente legate all’industria russa, nell’Ucraina orientale, nella regione del Donbass.
Cominciava così una sollevazione degli operai nell’est del Paese, che fu semplicemente la difesa delle loro vite e del loro lavoro. Una lotta nettamente operaia, principalmente dei minatori. In quel periodo Putin prendeva la penisola di Crimea, nel febbraio 2014, e mobilitava le sue truppe alla frontiera ucraina. Ma, come abbiamo visto, quelle truppe non erano lì per difendere la sollevazione operaia nell’est ucraino, ma per meglio negoziare la sua parte del bottino. Inutile dire che quando l’esercito di Kiev attaccò le aree minerarie di Donetsk e Lugansk, l’assassino Putin allontanò le sue truppe dal confine con l’Ucraina e inviò i suoi nel Donbass solo per pugnalare alla schiena i migliori dirigenti dei minatori. Putin era tanto nemico dell’unità della classe operaia ucraina quanto le “forze fasciste” di Kiev.
Le stesse truppe che vediamo oggi invadere l’Ucraina, fuggirono quando gli operai del Donbass combattevano e il governo di Kiev si preparava a lanciare una controffensiva controrivoluzionaria. Putin aveva già ricevuto il pagamento per i servizi che prestava e che avrebbe prestato in seguito in Ucraina.

Nell’aprile 2014, il governo di Kiev aveva già perso completamente il controllo della regione del Donbass e dell’est dell’Ucraina. Era iniziata l’occupazione generalizzata di edifici pubblici e stazioni di polizia. Entro maggio 2014 si svolsero in Ucraina elezioni anticipate, garantite dalla NATO, che avrebbero incoronato Poroshenko come presidente, in un’elezione totalmente truccata in cui l’intera regione del Donbass non votò. A est, Putin e la borghesia e oligarchia ucraine a lui legate promuovettero i referendum separatisti a Donetsk e Lugansk. Vollero così manipolare il legittimo sentimento di indipendenza delle masse del Donbass che identificavano il governo di Kiev con l’attacco del FMI e la chiusura dei loro luoghi di lavoro.
La tragedia della rivoluzione ucraina si è ridotta fin dall’inizio alla mancanza di sincronia delle lotte nell’est e nell’ovest del Paese e alla divisione della nazione e della sua classe operaia. Come abbiamo visto, la borghesia “filoeuropea” anticipò l’azione indipendente delle masse e abortì la rivoluzione che stava nascendo nell’ovest del Paese e fu allora che si sollevarono gli sfruttati nel Donbass. Questa mancanza di sincronia e la divisione della classe operaia ucraina è stata la base per impedire il successo della rivoluzione ucraina. E se questo è stato ottenuto, è stato per un solo motivo: la crisi di direzione, che è data dalla sovrabbondanza di direzioni traditrici in Ucraina, Russia e in tutta Europa.

Una guerra di classe, di sterminio contro i lavoratori armati dell’est del Paese che conquistavano a sé i soldati comuni di Kiev che non volevano una guerra fratricida

Nel periodo tra giugno e agosto 2014, con le truppe di Putin già lontane dalla frontiera ucraina, il governo di Kiev lanciò una vera guerra di massacro e di sterminio contro gli operai del Donbass. Putin lasciò la strada spianata a Kiev per compiere il massacro.

Quando l’esercito ucraino voleva entrare nell’est con le sue truppe, contro i lavoratori e soprattutto i minatori che si stavano ribellando, la base dell’esercito di Kiev si disgregò poiché i soldati comuni non erano disposti a combattere in una guerra fratricida. Furono poi costituiti veri e propri comitati di operai e soldati.
Fu allora che il governo Poroshenko lanciò la guerra di sterminio e massacro, che fu una vera guerra di classe. Tra i mesi di giugno e agosto 2014 furono stroncate cinquemila vite e più di diecimila sfruttati furono sfollati.
Diciamo chiaramente che fu una guerra di classe perché Lugansk, Donetsk, Sloviansk furono attaccate con bombardamenti aerei, elicotteri, aerei e artiglieria. E il 9 maggio 2014, il “giorno della vittoria” in cui si celebra lo schiacciamento delle truppe naziste, l’esercito di Kiev aprì il fuoco su una folla disarmata lasciando a terra quaranta morti, e la settimana prima a Odessa i fascisti diedero fuoco alla casa dei sindacati quando gli sfruttati cercarono di rifugiarsi lì, facendo trenta morti. L’intera infrastruttura del Donbass fu distrutta e i morti, proprio come oggi, appartenevano ai ranghi della classe operaia.

Questa offensiva non fu però sufficiente a piegare la forza dei minatori e degli sfruttati del Donbass, che, come dicevamo, erano sostenuti dai loro fratelli a Kiev che si rifiutavano di arruolarsi nell’esercito per attaccare il Donbass. Iniziò quindi una politica, già vista ad Homs in Siria, l’assedio. Le città furono impoverite, lasciandole senza acqua, senza elettricità in un inverno con temperature che arrivano a trenta gradi sotto zero. Inoltre il governo di Kiev impose un blocco alla vendita di carbone al Donbass insorto e nel frattempo Putin, il presunto alleato dei popoli e sedicente difensore delle masse del Donbass, continuò a rifornire di carbone Kiev. Gli affari sono affari.

Gli accordi di Minsk: la spartizione della nazione e la lacerazione dei ranghi della classe operaia
Il piano per la sconfitta della rivoluzione ucraina con l’azione del fascismo di Kiev e del fronte popolare di Putin

Nessuna delle politiche escogitate a Kiev fu sufficiente per sconfiggere la rivolta nel Donbass, arrivò quindi il Patto di Minsk , la stessa politica che era stata precedentemente applicata in Siria con il Patto di Ginevra.
Lo scopo del Patto di Minsk era dividere la classe operaia ucraina e spartire la nazione, un processo che Putin aveva già avviato sequestrando e rubando la Crimea. Con il Patto di Minsk ‒ controllato dietro le quinte dagli Usa ‒ Germania, Francia, il governo di Kiev, i governi separatisti di Donetsk e Lugansk e Putin spartirono l’Ucraina: l’ovest del Paese sarebbe rimasto sotto il controllo del governo di Kiev, fantoccio della NATO, mentre un striscia del Donbass e la penisola di Crimea sarebbero rimaste nelle mani di Putin, incaricato di reprimere, tenere a bada e imporre i piani di licenziamento e chiusura di miniere nel Donbass, una questione che oggi tutto il mondo nasconde. Sotto il governo “filorusso” di Donetsk e Lugansk, metà dei minatori della regione furono licenziati.

La politica del fascismo di Kiev con i suoi massacri, si combinò con la disorganizzazione dall’interno, il disarmo e il massacro imposti nel Donbass da Putin e dalla borghesia “filorussa”.
Col patto furono istituite zone smilitarizzate e a Putin fu affidato il ruolo di disorganizzare dall’interno e disarmare i comitati di operai e soldati che cominciavano a sorgere di fronte all’attacco del governo di Kiev. Questo era il ruolo del fronte popolare di collaborazione di classe che lo stalinismo impose con la borghesia del Donbass e di Mosca. Lo abbiamo visto agire anche in Siria e in ogni rivoluzione. Ma per svolgere questo ruolo fu necessaria anche l’azione dello stalinismo che inviò i suoi “brigatisti internazionali” dall’Europa e dalla Russia millantando di andare a “combattere per il Donbass”, appoggiati da gran parte di quelli che hanno rinnegato il trotskismo come l’EEK e Antarsya della Grecia e il SWP britannico. In nome di un “Fronte antifascista“, stabilirono una politica di collaborazione di classe, manipolando ancora una volta il sentimento nazionale delle masse e sottomettendole a Putin e alla borghesia dell’est dell’Ucraina.

Fascismo e fronte popolare furono i due capi della stessa corda per strangolare la rivoluzione ucraina. Come ieri avevano promesso alle masse di Maidan che entrando nell’UE le loro difficoltà sarebbero finite, ora dicevano alle masse del Donbass che tutti i loro problemi sarebbero stati risolti con Putin e la borghesia “filorussa”.
Inventarono così la Repubblica fittizia di Novorossia con porzioni del territorio di Donetsk e Lugansk con l’obiettivo di distruggere tutti gli organismi di lotta delle masse, addormentarle e permettere al fascismo di alzare la testa. Il proposito e la missione del fronte popolare fu far rispettare alla lettera i Patti controrivoluzionari di Minsk. La spartizione del territorio doveva essere rispettata e le milizie del Donbass dovevano essere sciolte o sottomettersi all’esercito regolare. Chi non volle farlo affrontò torture, liste nere e morte. La borghesia prendeva il controllo della rivoluzione e ripristinò lo stato borghese che era stato rovesciato dalle masse.
Quello che abbiamo visto dopo è stata l’imposizione dello strangolamento e la sconfitta della rivoluzione ucraina. Con le azioni del fronte popolare, l’unica cosa che è stata ottenuta è stata che il fascismo alzasse la testa e che quindi i piani del FMI fossero applicati a Kiev e nel Donbass.

Ecco perché dal 2016 e fino ad ora abbiamo visto susseguirsi enormi scioperi minerari, perché né a Kiev, né nel Donbass i lavoratori ricevono salari dignitosi, era ed è impossibile arrivare alla fine del mese, non è nemmeno possibile procurarsi il cibo. La vita è diventata un vero inferno in tutto il territorio ucraino.
Con la rivoluzione fatta uscire di scena, l’Ucraina è diventata un vero protettorato e oggi può avanzare lungo il percorso che stiamo vedendo. L’alternativa in Ucraina era: o una colonia sotto tutela o un’Ucraina sovietica, unita e indipendente.
L’Ucraina è passata così dall’essere una delle capitali della rivoluzione con cui le masse hanno risposto alla crisi economica aperta nel 2008 dall’imperialismo, ad essere una capitale della controrivoluzione (come lo è stata la Siria) dove l’imperialismo ha concentrato le sue forze per far uscire di scena la rivoluzione e, nel caso dell’Ucraina, per evitare che si diffondesse a macchia d’olio verso l’Europa ad ovest e verso la Russia ad est.

La guerra di occupazione che Putin e la “grande” Russia hanno imposto all’Ucraina nelle ultime settimane è possibile solo perché la classe operaia ucraina è stata condotta, dalle sue direzioni, a crudeli sconfitte.
L’uso dell’Ucraina da parte dell’imperialismo come merce di scambio nella sua offensiva verso est pone nuovamente all’ordine del giorno un’alternativa di ferro: o Ucraina sovietica, o colonia sotto tutela della Troika di Washington, Maastricht e Mosca.

Eliza Funes

l’originale spagnolo qui → http://www.flti-ci.org/ooi/ooine/suple-ucrania-abril2022/ucrania-2014-2022.html

2014, lotte in Piazza Maidan
2014, Feriti dalla repressione a Kiev
Minatori del carbone nel Donbass
Bombardamento aereo del governo di Kiev sul Donbass nel 2014
Putin, Merkel, Hollande e Poroschenko al vertice di Minsk

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