I primi quattro congressi dell’Internazionale Comunista e il Congresso dei popoli d’oriente di Baku

CENNI STORICI

Al fine di dare un’idea generale dei primi sviluppi dell’Internazionale comunista, riproduciamo i cenni redatti dal compagno Mathias Rakosi (N.d.R. – prima che diventasse un fervente stalinista), alla vigilia del IV congresso, riprendendoli, dall’Annuario del Lavoro pubblicato dall’Internazionale comunista nel 1923.

La Seconda Internazionale doveva dar prova di sé al momento della guerra imperialista. Essa vi era intellettualmente preparata. Si era già chiaramente analizzato il carattere della guerra. In più riprese, i congressi internazionali avevano deciso di condurre la lotta più energica contro la guerra e anche di impiegare uno sciopero generale internazionale.
Accadde il contrario, quando la guerra ebbe inizio. La Seconda Internazionale non seppe neppure protestare. Invece di dichiarare lo sciopero generale o la lotta contro la guerra imperialista, i dirigenti socialdemocratici si premurarono di sostenere ciascuno la propria borghesia, col pretesto della difesa nazionale.
Erano divorati dall’opportunismo e dallo sciovinismo, legati con mille legami alla borghesia. Naturalmente la Seconda Internazionale non poteva essere un qualche cosa di diverso dai partiti che la componevano. Le frasi rivoluzionarie potevano mascherare la realtà soltanto finché non fosse giunto il tempo di esigere la corrispondenza delle azioni alle parole. È per questo che l’inizio della guerra mondiale segna il crollo della Seconda Internazionale.
Ciò fece sì che il movimento operaio internazionale venisse privato della sua direzione proprio nel momento di maggior travaglio intellettuale e morale. I rari uomini che, nonostante l’ondata di opportunismo e di sciovinismo che nell’agosto 1914 sembrava essersi impossessata di tutte le menti, non persero la testa, cercarono immediatamente di far comprendere questo fatto agli operai. Furono particolarmente i bolscevichi russi che, nel corso della loro incrollabile lotta contro lo zarismo, particolarmente durante gli anni 1905-06, avevano già imparato a distinguere tra parole e azioni rivoluzionarie, e che avevano costituito un’ala sinistra nel seno della Seconda Internazionale di cui criticavano l’atteggiamento. Nel primo numero del loro organo centrale, che apparve il 1° novembre 1914, il compagno Lenin scriveva:
«La Seconda Internazionale è morta, vinta dall’opportunismo. Abbasso l’opportunismo, evviva la Terza Internazionale, ripulita dai rinnegati e dall’opportunismo stesso!»
«La Seconda Internazionale ha fatto un utile lavoro di organizzazione delle masse proletarie durante il lungo “periodo pacifico” della peggiore schiavitù capitalista, nel corso dell’ultimo terzo del XIX secolo e all’inizio del XX. Il compito della Terza Internazionale sarà quello di preparare il proletariato alla lotta rivoluzionaria contro i governi capitalisti, alla guerra civile contro la borghesia di tutti i paesi, in vista della presa dei pubblici poteri e della vittoria del socialismo».
Qualche settimana più tardi, il compagno Zinov’ev scriveva sulle «parole d’ordine della socialdemocrazia rivoluzionaria»:
«Dobbiamo alzare la bandiera della guerra civile. L’Internazionale adotterà questa parola d’ordine ed essa sarà degna del suo nome o vegeterà miserabilmente. Il nostro dovere è di prepararci alle battaglie venture e di abituarci, di abituare il movimento operaio intero a questa idea: o moriremo o vinceremo, sotto la bandiera della guerra civile».
La diffusione di simili idee era contrastata da immense difficoltà. La borghesia di tutti i paesi, aiutata in questo dai suoi socialpatrioti, usava tutti i mezzi per impedire che queste idee si diffondessero tra le masse.
Il primo tentativo di ricostituzione di un’Internazionale rivoluzionaria ebbe luogo, all’inizio del 1915, a Zimmerwald, in Svizzera. Su iniziativa dei socialisti italiani vi furono invitate «tutte le organizzazioni operaie che sono rimaste fedeli al principio della lotta di classe e della solidarietà internazionale». Erano presenti delegati della Germania, della Francia, dell’Italia, dei Balcani, della Svezia. della Norvegia, della Polonia, della Russia, dell’Olanda e della Svizzera. Vi erano rappresentate tutte le tendenze, dalle riformiste-pacifiste alle marxiste rivoluzionarie. La conferenza adottò un manifesto che condannava la guerra imperialista e raccomandava di seguire l’esempio di tutti coloro che erano stati perseguitati per aver tentato di risvegliare lo spirito rivoluzionario in seno alla classe operaia. Seppure confuso, il manifesto fece segnare un notevole passo in avanti. Il gruppo indicato come la sinistra di Zimmerwald diffuse una risoluzione molto più chiara e netta. Questa risoluzione conteneva il seguente passaggio:
«Rifiuto dei crediti di guerra, uscita dei ministri socialisti dai governi borghesi, necessità di smascherare il carattere imperialista della guerra dall’alto della tribuna parlamentare, sulle colonne della stampa legale e, in caso di necessità, illegale, organizzazione di manifestazioni contro i governi, propaganda in trincea a favore della solidarietà internazionale, protezione degli scioperi economici, cercando in ogni modo di trasformarli in scioperi politici, in guerra civile e non in pace sociale.»
Il rifiuto di questa risoluzione da parte della conferenza caratterizza sufficientemente lo spirito di coloro che vi partecipavano. La conferenza nominò una «Commissione socialista internazionale». Nonostante una dichiarazione formale della maggioranza della conferenza, che affermava di non voler creare una Terza Internazionale, la Commissione divenne, per la sua contrapposizione all’Ufficio socialista internazionale, organo esecutivo della Seconda Internazionale, il punto di riferimento dell’opposizione e l’organizzatrice della nuova Internazionale.
La conferenza di Zimmerwald fu seguita dalla conferenza di Kienthal, nell’aprile del 1916. Ciò che caratterizzò questa seconda conferenza fu il fatto che l’idea della lotta rivoluzionaria internazionale contro la guerra e, conseguentemente, la necessità di una nuova Internazionale, vennero sempre più in primo piano. L’influenza della sinistra di Zimmerwald aumentò. Si lavorò con zelo. Si stamparono opuscoli, volantini, che si fecero giungere nei diversi paesi a prezzo delle più serie difficoltà. Incontri ristretti e conferenze ebbero luogo e continuarono a sviluppare l’idea della lotta di classe rivoluzionaria.
Quando la rivoluzione esplose in Russia, gli elementi più attivi della sinistra di Zimmerwald vi rientrarono. In questo modo si spostò in Russia il centro della lotta per la Terza Internazionale. Pertanto Zinov’ev aveva ragione di scrivere:
«Fin dalla sua nascita la Terza Internazionale ha legato il suo destino a quello della rivoluzione russa. Nella misura in cui essa trionfò, la parola d’ordine “per la Terza Internazionale” si impose. E nella stessa misura in cui la rivoluzione russa si rafforzò, si rafforzò anche la situazione dell’Internazionale comunista nel mondo intero».
Nel corso delle dimostrazioni del 1° maggio 1917, una delle parole d’ordine principali delle masse proletarie fu l’edificazione dell’Internazionale comunista. Questo desiderio divenne ancora più ardente quando il proletariato russo ebbe conquistato il potere e quando, nella lotta contro l’imperialismo mondiale, la Seconda Internazionale – come di fronte alla guerra – si schierò al fianco della borghesia.
Qualche mese dopo la caduta delle potenze centrali il Partito comunista russo prese l’iniziativa della fondazione della Terza Internazionale. Le rivoluzioni che seguirono alla guerra dimostrarono la bancarotta della politica di «difesa nazionale» e dei suoi partigiani socialdemocratici. Una potente ondata rivoluzionaria percorse la classe operaia di tutti i paesi. In Europa centrale, si ebbero insurrezioni operaie per ogni dove. Non solo il terreno era sufficientemente maturo per la costituzione dell’Internazionale comunista, ma essa era diventata ormai una necessità per la preparazione e l’organizzazione delle lotte rivoluzionarie.

II primo congresso. Marzo 1919

Il 24 gennaio 1919 la Centrale del Partito comunista russo, insieme agli Uffici esteri dei partiti comunisti polacco, ungherese, tedesco, austriaco, lettone e ai Comitati centrali del Partito comunista finlandese, della Federazione socialista balcanica e del Partito socialista operaio americano, lanciarono il seguente appello:
«I partiti e le organizzazioni sottoscritti considerano come una necessità imperativa la riunione del primo congresso della nuova Internazionale rivoluzionaria. Durante la guerra e la rivoluzione si è resa manifesta non soltanto la completa bancarotta dei vecchi partiti socialisti e socialdemocratici, e con loro della Seconda Internazionale, ma anche l’incapacità degli elementi centristi della vecchia socialdemocrazia verso un’azione rivoluzionaria. Nello stesso tempo si delineano chiaramente i contorni di una vera Internazionale rivoluzionaria».
L’appello descrive in dodici punti lo scopo, la tattica e la condotta dei partiti «socialisti». Considerando che l’epoca attuale contempla la decomposizione e il crollo del sistema capitalistico, il che significa nello stesso tempo il crollo della cultura europea, se non si sopprime il capitalismo, il compito del proletariato è la conquista immediata dei pubblici poteri. Questa conquista del potere pubblico vuoi dire annientare l’apparato dello Stato borghese e organizzare l’apparato dello Stato proletario. Il nuovo apparato deve incarnare la dittatura della classe operaia e servire da strumento per la sistematica oppressione della classe sfruttatrice e per la sua espropriazione. Il modello dello Stato proletario non è la democrazia borghese, questa maschera sotto la quale si nasconde la dominazione della oligarchia finanziaria, ma la democrazia proletaria sotto forma di Consigli. Per assicurare l’espropriazione del suolo e dei mezzi di produzione che devono passare nelle mani del popolo nel suo complesso, occorrerà disarmare la borghesia e armare la classe operaia. Il metodo principale della lotta è l’azione delle masse rivoluzionarie fino all’insurrezione armata contro lo Stato borghese.
Per quel che concerne l’atteggiamento dei socialisti, bisogna considerare tre gruppi. Contro i socialpatrioti, che combattono a fianco della borghesia, bisognerà lottare senza tregua. Gli elementi rivoluzionari del centro dovranno essere separati; i capi, criticati sistematicamente e smascherati. A un certo punto dello sviluppo è necessario giungere a una rottura organica con i centristi. Dovrà essere costituito un terzo gruppo, composto dagli elementi rivoluzionari del movimento operaio. Seguiva un elenco di 39 partiti e organizzazioni invitati al I congresso. Il compito del congresso consiste «nella creazione di un organismo di combattimento incaricato di coordinare e di dirigere il Movimento dell’Internazionale comunista e di realizzare la subordinazione degli interessi del movimento nei diversi paesi agli interessi generali della rivoluzione internazionale.»
Il I congresso ebbe luogo nel marzo 1919. In quella epoca, la Russia dei soviet era completamente bloccata, circondata da ogni parte dai fronti militari, cosicché soltanto un piccolo numero di delegati riuscì, a prezzo delle maggiori difficoltà, a raggiungere il congresso. A proposito della sua convocazione, il compagno Zinov’ev (nel suo rapporto al II congresso) scrisse quel che segue: «Il movimento comunista, nei diversi paesi d’Europa e d’America, in quell’epoca, non era che agli inizi. Era compito del I congresso dispiegare la bandiera comunista e proclamare l’idea dell’Internazionale comunista. Ma né la situazione generale dei partiti comunisti nei diversi paesi, né il numero dei delegati al I congresso permisero di discutere a fondo le questioni pratiche dell’organizzazione dell’Internazionale comunista».

Il congresso ascoltò le relazioni dei delegati sulla situazione dei rispettivi paesi, adottò risoluzioni sulle direttive dell’Internazionale comunista, sulla democrazia borghese e sulla dittatura proletaria, sull’atteggiamento nei confronti delle tendenze socialiste, sulla situazione internazionale: esse erano tutte redatte nello spirito dell’appello di fondazione. La fondazione dell’Internazionale comunista fu decisa all’unanimità meno cinque astensioni. Si lasciò al II congresso il compito di costituire definitivamente l’Internazionale comunista, la cui direzione fu affidata a un Comitato esecutivo, nel quale dovevano essere rappresentati i partiti russo, tedesco, ungherese, la Federazione balcanica, i partiti svizzero e scandinavo. Il congresso si concluse con un manifesto al proletariato di tutto il mondo.
Durante il primo anno, il Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista ebbe un lavoro difficile da compiere. Praticamente tagliato fuori dall’Europa occidentale, restò mesi interi senza giornali, privo della maggior parte dei suoi membri che non potevano venire, a causa del blocco. Ciò nondimeno prese posizione su tutte le questioni importanti, esattamente nel primo anno seguente alla guerra, in cui la chiarezza faceva tanto difetto; gli appelli e gli scritti del Comitato esecutivo ebbero allora un valore estremamente prezioso.
La creazione dell’Internazionale comunista diede uno scopo e una direzione alle masse operaie opposte alla politica della Seconda Internazionale. Si ebbe un vero afflusso di operai rivoluzionari nell’Internazionale comunista. Nel marzo 1919 il Partito socialista italiano inviò la sua. adesione; nel maggio fu la volta del Partito operaio norvegese e del Partito socialista «stretto» bulgaro: in giugno, del Partito socialista di sinistra svedese, del Partito socialista comunista ungherese, ecc… Nello stesso tempo, la Seconda Internazionale si svuotava rapidamente dei suoi effettivi. Uno dopo l’altro, i partiti più importanti l’abbandonarono. Se, al tempo della fondazione, l’Internazionale comunista era più una bandiera che un esercito, essa aveva, nel corso del suo primo anno di esistenza, non soltanto raccolto un esercito attorno alla sua bandiera, ma inflitto delle gravi sconfitte all’avversario.

Il secondo congresso. Luglio 1920

Nuovi problemi apparvero, con i progressi dell’Internazionale comunista. I partiti che vi avevano aderito non erano abbastanza maturi. Non c’era ancora chiarezza sufficiente sul partito, sul ruolo dei comunisti nei sindacati, sul loro atteggiamento di fronte alla questione del parlamentarismo e su altri interrogativi. Fu compito del II congresso fissare le direttrici.
Arrivarono delegati da tutti i paesi. Il congresso si aprì a Pietrogrado il 17 luglio 1920, tra le acclamazioni degli operai russi e al centro dell’attenzione dell’intero mondo proletario. Si adottarono le risoluzioni dell’Internazionale comunista, risoluzioni in cui la nozione di dittatura del proletariato e di potere dei soviet era chiarita sulla base dell’esperienza pratica, e si decisero le condizioni di esecuzione di tali parole d’ordine nei differenti paesi. Si adottarono inoltre risoluzioni sul ruolo del partito nella rivoluzione proletaria. Il Partito comunista deve costituire l’avanguardia, la parte più cosciente e più rivoluzionaria della classe operaia. Deve essere fondato sulla base del principio di centralizzazione e costituire, in tutte le organizzazioni, nuclei sottoposti alla disciplina di partito.
Per quel che riguarda i sindacati, «I comunisti devono entrarvi per farne formazioni di combattimento contro il capitalismo e scuole di comunisti». L’uscita dei comunisti dai sindacati avrebbe avuto il risultato di abbandonare le masse in mano ai capi opportunisti che lavoravano con la borghesia. Altre risoluzioni furono adottate sulla questione dei consigli operai e dei consigli di fabbrica, sul parlamentarismo, sulla questione agraria e coloniale. Infine, si adottarono gli statuti dell’Internazionale comunista.
Grandi dibattiti si svilupparono sulla questione del ruolo del partito, sull’attività dei comunisti nei sindacati e sulla partecipazione alle elezioni. Gli opportunisti attaccarono con violenza le ventuno condizioni di adesione all’Internazionale comunista. La lotta eroica del proletariato russo, la bancarotta della borghesia e del suo alleato, la Seconda Internazionale, le parole d’ordine e gli appelli rivoluzionari dell’Internazionale comunista avevano portato, in quella sede una quantità di capi, obbligati a cedere alla pressione delle masse operaie: ma essi erano devoti, anima e corpo, alla Seconda Internazionale e non entravano nell’Internazionale comunista se non per salvaguardare la loro influenza sulle masse. Anche se l’Internazionale comunista fosse stata un’organizzazione già forte e sperimentata, l’entrata di questi elementi opportunisti avrebbe comportato il pericolo di far penetrare nel suo seno lo spirito della Seconda Internazionale. Ora, essendo l’Internazionale comunista composta da partiti ancora in via di formazione, era assolutamente necessario tenersi alla larga da tali elementi. Ciò spiega il perché dei ventuno punti di adesione.
Queste condizioni esigevano, da parte di ogni partito che volesse aderire all’Internazionale comunista, che tutta la sua propaganda e la sua agitazione avessero un carattere comunista. La stampa doveva essere completamente sottomessa al Comitato centrale del partito. I riformisti dovevano essere esclusi da tutti i posti di responsabilità. Il partito doveva possedere un apparato illegale e fare una propaganda sistematica nell’esercito e nelle campagne. Doveva condurre una lotta energica contro i riformisti e contro i centristi. Nei sindacati doveva lottare contro l’Interazionale sindacale di Amsterdam. Il partito doveva essere severamente centralizzato e prendere il nome di Partito comunista (sezione dell’Internazionale comunista). Tutti i partiti che appartenevano all’Internazionale comunista o che volessero entrarvi dovevano, al più tardi entro quattro mesi dal II congresso, esaminare queste condizioni in un congresso straordinario ed escludere dal partito tutti quei loro membri che le rifiutassero.
Il congresso si concluse il 7 agosto. Nel mese di settembre il Partito socialdemocratico di Cecoslovacchia si scisse: una maggioranza schiacciante adottò le ventuno condizioni e si costituì, più tardi, in Partito comunista. Nel mese di ottobre, nel congresso di Halle, la maggioranza del Partito socialdemocratico indipendente di Germania si pronunciò per l’adesione all’Internazionale comunista. Nel mese di gennaio del 1921 si produsse una scissione in seno del Partito socialista italiano, che pure apparteneva all’Internazionale comunista, ma la cui maggioranza riformista respingeva le ventuno condizioni. In tutti i paesi del mondo in cui esistessero organizzazioni operaie, si riproduceva lo stesso processo: i comunisti si separavano dai riformisti e si costituivano in sezioni dell’Internazionale comunista.
Parallelamente al progresso e al rafforzamento dell’Internazionale comunista, si produceva la decomposizione della Seconda Internazionale. Tutta una serie di partiti che uscirono dalla Seconda Internazionale, ma che si rifiutarono di entrare nell’Internazionale comunista, costituirono una Unione internazionale dei partiti socialisti, comunemente chiamata «l’Internazionale due e mezzo» poiché, su tutte le questioni, oscillava tra la Seconda e la Terza Internazionale.

Il terzo congresso. Giugno 1921

Il III congresso dell’Internazionale comunista, che si riunì nel giugno 1921, dovette affrontare nuovi compiti. Essi erano in parte determinati dal fatto che l’Internazionale comunista comprendeva già oltre cinquanta sezioni, tra cui grandi partiti di massa dei paesi europei più importanti, il che faceva insorgere problemi di tattica e di organizzazione; ma soprattutto lo erano dal fatto che lo sviluppo della rivoluzione e il crollo del capitalismo subivano un certo rallentamento, che non si era potuto prevedere all’epoca del I e del II congresso.
Dopo il crollo delle potenze centrali, l’ondata rivoluzionaria era mostruosamente forte e si aveva l’impressione che la rivoluzione proletaria avrebbe fatto immediatamente seguito alla rivoluzione borghese. In Ungheria e in Baviera.
Il proletariato era riuscito per qualche tempo a impadronirsi del potere; e anche dopo la disfatta delle repubbliche sovietiche di Ungheria e di Baviera la speranza in una vittoria rapida della classe Operaia non era scemata. Ci si ricordi l’epoca in cui l’Armata rossa era di fronte a Varsavia e il proletariato intero si preparava fieramente a nuove lotte!
Ma la borghesia si dimostrò più capace di resistere di quanto non si fosse creduto. La sua forza consisteva innanzitutto nel fatto che i socialtraditori, che durante la guerra si erano così eroicamente battuti contro il proletariato, si rivelarono anche dopo la guerra come i migliori sostegni del capitalismo brancolante. In tutti i paesi in cui la borghesia non poteva più essere padrona della situazione, essa consegnò il potere ai socialdemocratici. Furono i governi socialdemocratici di Noske e di Ebert in Germania, di Renner e Otto Bauer in Austria, di Tusar in Cecoslovacchia, di Bóhm e Garami in Ungheria, che ressero gli affari della borghesia durante il periodo rivoluzionario e soffocarono nel sangue i tentativi di liberazione del proletariato.
L’apparente prosperità che seguì immediatamente la guerra, permettendo ai capitalisti di occupare i soldati smobilitati, costituì anch’essa un ostacolo alla rivoluzione. La borghesia riuscì a calmare gli opera senza lavoro fornendo loro sussidi. A tutto ciò venne poi ad aggiungersi un fenomeno Importante sul piano psicologico, cioè la stanchezza della maggior parte della classe operaia che usciva a stento dalle sofferenze e dalle privazioni subite durante i quattro anni della guerra imperialista. Infine i partiti comunisti, a cui incombeva il compito di dirigere e coordinare la lotta del proletariato, erano ancora in via di formazione e adottavano spesso errati metodi di lotta.
Tutte queste circostanze permisero alla borghesia di riunire lentamente le sue forze, di riacquistare fiducia e di riconquistare alcune delle posizioni perdute. Quando non ebbe più bisogno di loro, la borghesia scacciò i socialisti dal governo in tutti i paesi in cui essi ne facevano parte e i capitalisti ripresero nelle loro mani la conduzione dei propri affari. Crearono organizzazioni militari illegali, armarono la parte cosciente della borghesia e passarono all’attacco contro la classe operaia.
Nel frattempo la situazione economica aveva subito anch’essa profonde trasformazioni. Nei primi anni venti, una crisi si era profilata in Giappone e in America, crisi che si era estesa via via a tutte le nazioni industriali. Il consumo decrebbe rapidamente, la produzione si ridusse, centinaia di migliaia, milioni di operai furono messi alla porta. I mercati si restrinsero rapidamente, la produzione calò ancora. Le lotte difensive degli operai assunsero ampie dimensioni ma si conclusero con disfatte, il che rafforzò la posizione della borghesia.
Tale era la situazione quando si aprì il III congresso dell’Internazionale comunista. Il congresso esaminò innanzitutto lo stato dell’economia mondiale e successivamente abbordò la questione della tattica che si rendeva necessaria nella nuova situazione. La borghesia si rafforzava, così come i suoi servitori, i socialdemocratici. L’epoca delle vittorie facili conseguite dall’Internazionale comunista, nel corso degli anni immediatamente successivi alla guerra, era passata. In attesa di nuove lotte rivoluzionarie, dovevamo ricostituire e rafforzare le nostre organizzazioni e scalzare le posizioni dei riformisti con un lavoro ostinato in seno alle organizzazioni operaie. L’occupazione delle fabbriche in Italia, lo sciopero di dicembre in Cecoslovacchia, l’insurrezione di marzo in Germania, mostravano che i partiti comunisti, anche se combattevano manifestamente per gli interessi di tutto il proletariato, non ce la facevano a vincere contro le forze unite della borghesia e della socialdemocrazia, non solo perché essi non godevano della simpatia delle larghe masse, ma anche perché queste masse non erano state convogliate direttamente nelle loro organizzazioni, dopo essere riusciti a strapparle a organizzazioni diverse. È per questo che il congresso lanciò la parola d’ordine: «Andare alle masse».
Nell’Europa occidentale, i partiti comunisti dovevano fare tutto ciò che fosse loro possibile per obbligare i sindacati e i partiti che si appoggiavano alla classe operaia a un’azione comune, in favore degli interessi immediati della classe, preparando intanto la classe stessa all’eventualità di un tradimento da parte dei partiti non comunisti.
Contro questa tattica si manifestò una certa opposizione «da sinistra». Il Partito comunista operaio di Germania (KAPD) vi vide un abbandono della lotta rivoluzionaria e accusò l’Internazionale comunista di compiere sul terreno politico la stessa ritirata che il potere dei soviet si era visto costretto a fare sul terreno economico. Anche dei bravi compagni non compresero, all’inizio, la necessità di questa tattica.
Accanto alle questioni tattiche vi furono problemi di organizzazione che concentrarono al massimo l’attenzione. Con l’obiettivo della conquista dei sindacati, l’Ufficio sindacale organizzato dal II congresso, in collaborazione con i sindacati che avevano aderito nell’intervallo tra i due congressi, costituì l’Internazionale sindacale rossa. Si discusse anche della questione dell’Internazionale giovanile e del movimento femminile, nonché del lavoro nelle cooperative e nelle unioni sportive operaie.
Il congresso ascoltò inoltre un rapporto sulla Russia sovietica e approvò all’unanimità la tattica impiegata. Grandi discussioni si ebbero sul rapporto che riguardava l’attività del Comitato esecutivo. Alcuni compagni non approvavano la politica del comitato nella questione italiana, nel caso Levi e nella questione del KAPD. Ma il congresso approvò su tutti questi punti la linea del CE. Gli avvenimenti non hanno fatto che confermare la giustezza di quelle decisioni.
Il congresso si concluse il 12 agosto, con la discussione della questione orientale.
I mesi che seguirono furono relativamente calmi e diedero ai diversi partiti comunisti la possibilità di eseguire le decisioni del III congresso. Le organizzazioni furono sottoposte a un severo esame, i legami tra le diverse sezioni e il Comitato esecutivo furono perfezionati. Nei tre anni della sua esistenza, la Terza Internazionale è diventata un’organizzazione davvero mondiale. La Seconda Internazionale, per esempio, non ha nessun partito in paesi come la Francia e l’Italia; di contro, non esiste praticamente paese in cui la frazione più cosciente del proletariato, senza distinzione di razza o di colore, non sia costituita in sezione dell’Internazionale comunista. Essa comprende circa tre milioni di membri, e con settecento quotidiani. La conquista di nuove masse e di nuove posizioni continua con successo. Il congresso dei lavoratori d’Estremo Oriente, svoltosi a Mosca nel gennaio 1922, ha stabilito il collegamento della classe operaia cinese e giapponese con l’Internazionale comunista.

Il fronte unico

Il II congresso si riunì in un momento in cui regnava un grande sconforto in seno alla classe operaia. Le disfatte subite avevano scoraggiato il proletariato. Dopo il congresso questa situazione si aggravò ancora. In Inghilterra, in America, in Italia e in paesi neutrali gli operai soffrono la disoccupazione permanente. La classe operaia ha perduto le sue conquiste degli ultimi anni. La giornata lavorativa è stata prolungata, il livello di esistenza degli operai è stato ricondotto a indici inferiori a quelli precedenti la guerra. Se, nei paesi a basso cambio come la Germania, l’Austria e la Polonia, la disoccupazione è meno diffusa, la miseria della classe operaia è però più profonda a causa della caduta costante dei salari reali causata dal declino progressivo del valore d’acquisto della moneta, il che pone gli operai nell’impossibilità di soddisfare i loro stessi bisogni più elementari.
Una simile situazione era intollerabile. Spinte dalla miseria crescente, le masse cominciarono a cercare un rimedio alla loro situazione. Compresero che i vecchi sistemi erano impotenti ad ottenere alcunché. Esplosero gli scioperi e, quando riuscivano, i vantaggi ottenuti erano presto annullati dal deprezzamento della moneta. Le masse videro che la classe operaia era scissa in differenti partiti che si combattevano l’un l’altro, mentre la classe capitalistica scatenava contro di essa un’offensiva unica. In questo stato di cose, la soluzione che si imponeva era l’unificazione delle forze disperse del proletariato per opporle all’attacco del capitalismo.
In che modo si doveva realizzare questa unificazione delle forze del proletariato? Su questo le masse operaie non avevano affatto le idee chiare. In ogni modo il fatto che, ovunque, si producesse un movimento in tale direzione era la prova evidente della sua profondità e della sua necessità. Provava che le masse si allontanavano inconsciamente dalla politica riformista della Seconda Internazionale e dell’Internazionale sindacale di Amsterdam e che, dopo tanti errori e sconfitte, si erano infine decise a impegnarsi sulla via dell’unificazione delle forze del proletariato.
Ciò significava allo stesso tempo un mutamento di giudizio sul ruolo dei partiti comunisti e dell’Internazionale comunista. Nel corso del 1918 e del 1919 il proletariato era stato battuto perché la sua avanguardia, il partito comunista, rappresentava più una tendenza che un’organizzazione capace di prendere la direzione della lotta di classe. L’esperienza della disfatta obbligò i comunisti a creare, a mezzo di scissioni e della fondazione di partiti indipendenti, le organizzazioni di combattimento necessarie. Questo periodo di scissioni coincise con quello in cui la grande ondata rivoluzionaria era nel periodo di riflusso e in cui cominciava la grande offensiva del capitalismo. Anche se i socialdemocratici non avessero saputo utilizzare sapientemente questa circostanza, si sarebbe ugualmente prodotto quanto meno un malcontento contro «gli scissionisti» presso le masse che non potevano comprendere la necessità di una simile tattica. Le masse avevano anche compreso poco i tentativi di sollevazione operati dai comunisti quando questi ultimi, di fronte a tutta la classe operaia – e proprio perché ne sono la frazione più chiaroveggente – reclamavano l’impiego di metodi di lotta più energici. Lo sciopero di dicembre, in Cecoslovacchia, e l’azione di marzo in Germania erano destinati a fallire anche se fossero stati condotti meglio poiché le larghe masse non comprendevano allora la necessità di un simile metodo di combattimento. Ma la pressione della miseria fece presto comprendere loro la necessità di quelli che fino ad allora avevano considerato colpi di mano. Il lavoro che i comunisti, all’epoca della depressione, avevano fatto da soli, al prezzo di immensi sacrifici, cominciava a dare i suoi frutti.
A ciò venne ad aggiungersi il fatto che, nella lotta, gli operai non tennero più conto delle frontiere di partito mediante le quali i socialdemocratici tentavano di tenerli separati dai comunisti.
I partigiani di Amsterdam, quelli della Seconda Internazionale e quelli dell’Internazionale «due e mezzo», cercarono di sfruttare la nuova tendenza provocando un movimento favorevole all’unità contro i comunisti. Ma l’epoca in cui simili manovre erano possibili, poiché i socialdemocratici avevano in mano tutte le organizzazioni operaie e tutta la stampa operaia, era passata. Il Comitato esecutivo dell’Internazionale comunista smascherò questo piano e ingaggiò una campagna «per l’unità del proletariato mondiale, contro l’unione coi socialtraditori». Nella questione del soccorso agli affamati e agli operai jugoslavi e spagnoli, essa si indirizzò all’Internazionale di Amsterdam, inizialmente senza alcun successo. Ma quando i contorni della nuova ondata divennero più chiari e visibili, il Comitato esecutivo, dopo lunghe discussioni, prese posizione in proposito.
Nelle «risoluzioni sul fronte unico degli operai e sui rapporti con gli operai che appartengono alla Seconda Internazionale, all’Internazionale “due e mezzo”, all’Internazionale sindacale di Amsterdam e alle organizzazioni anarcosindacaliste» esso analizzò la situazione e fornì un obiettivo chiaro e preciso agli sforzi elementari attuati per realizzare il fronte unico. «II fronte unico non è altro che l’unione di tutti gli operai decisi a lottare contro il capitalismo». I comunisti devono sostenere la parola d’ordine della massima unità possibile tra tutte le organizzazioni operaie in ogni azione contro il capitalismo. I dirigenti della Seconda Internazionale, come quelli dell’Internazionale «due e mezzo» e dell’Internazionale sindacale di Amsterdam, hanno tradito le masse operaie in tutte le questioni pratiche della lotta contro il capitalismo. Anche questa volta hanno preferito l’unità con la borghesia alla unità con il proletariato. È dovere dell’Internazionale comunista e delle sue diverse sezioni di persuadere, adesso, le masse operaie dell’ipocrisia dei socialtraditori che si smascherano come distruttori del fronte unito della classe operaia. A questo fine, l’indipendenza assoluta, la piena libertà della critica sono le condizioni principali dei partiti comunisti.
Le risoluzioni insistono anche sui pericoli che possono nascere, nella messa in atto di questa tattica, laddove i partiti comunisti non hanno ancora la chiarezza ideologica necessaria e l’omogeneità indispensabile.
Le risoluzioni vennero adottate a metà del mese di dicembre. In vista della decisione definitiva si convocò a Mosca una sessione allargata del Comitato esecutivo per l’inizio del successivo mese di febbraio. In un appello datato 1° gennaio 1922, sul fronte unico proletario, il Comitato esecutivo dimostrò la necessità della lotta comune in rapporto alla conferenza di Washington e all’offensiva generale del capitalismo contro la classe operaia. Le risoluzioni e l’appello del Comitato esecutivo furono rapidamente diffusi in tutti i paesi, divennero oggetto di lunghe discussioni da parte dei comunisti e dei loro avversari e contribuirono a chiarire la questione del fronte unico. I socialtraditori lanciarono alte grida, compresero che erano posti di fronte a un fatto che li avrebbe smascherati. Ma la loro indignazione su questa «nuova manovra comunista» non poté cancellare, nelle masse, l’impressione che i comunisti, che fino a quel momento erano stati indicati come «gli scissionisti», erano in realtà i veri partigiani dell’unità del fronte del proletariato. La sessione del Comitato esecutivo allargato non si riunì, a causa dello sciopero dei ferrovieri tedeschi, che alla fine di febbraio. Fu, in realtà, un piccolo congresso composto da oltre cento delegati in rappresentanza di trentasei paesi. L’ordine del giorno era discretamente carico: prevedeva i rapporti dei partiti dei paesi più importanti, i compiti dei comunisti nei sindacati, la questione della lotta contro i pericoli di guerra, quella della nuova politica economica nella Russia sovietica, quella della lotta contro la miseria dei giovani operai. Ma la questione principale era costituita dal problema del fronte unico e della partecipazione alla conferenza comune proposta dall’Internazionale «due e mezzo».
I compagni francesi e italiani si pronunciarono contro l’unità del fronte nella forma in cui essa era stata presentata dalle risoluzioni del Comitato esecutivo. I compagni francesi esprimevano il timore che le masse operaie francesi non comprendessero un’azione comune dei comunisti con i dissidenti. Si dichiararono partigiani del fronte unico degli operai rivoluzionari e dichiararono che l’attività dei comunisti, in Francia, tendeva a realizzare, sulle questioni della giornata di otto ore e dell’imposta sui salari, il blocco degli operai rivoluzionari. Il partito francese era ancora troppo giovane e troppo poco abile nel manovrare, era incapace di condurre un’azione comune con i socialisti dissidenti e con i sindacalisti riformisti dai quali si era appena separato.
I delegati italiani si dichiararono partigiani dell’unità del fronte sindacale ma avversari dell’unità del fronte politico con i socialisti. Espressero l’opinione che le masse non avrebbero compreso un’azione comune dei diversi partiti operai e che il vero terreno su cui fosse possibile il fronte politico era il sindacato, dove comunisti e socialisti sono uniti.
Tutti gli altri delegati presenti alla conferenza espressero opinioni diverse. Nonostante innumerevoli tradimenti, i dirigenti riformisti sono riusciti, finora, a mantenere la loro influenza sulla maggior parte delle organizzazioni operaie. Non è ripetendo ancora una volta che tali dirigenti sono traditori che riusciremo a riunire attorno a noi gli operai. Si tratta, ora che una volontà di lotta si impone tra le masse, di dimostrar loro che i socialdemocratici non vogliono combattere: né solo per il socialismo, ma neppure per le rivendicazioni economiche più immediate della classe operaia. Finora non siamo ancora riusciti a smascherarli; in primo luogo perché non abbiamo avuto a disposizione gli strumenti necessari per farlo, successivamente perché la situazione psicologica, l’atmosfera grazie alla quale gli operai potessero comprendere il tradimento di cui erano vittime, venne meno. Abbiamo infine l’occasione per smascherarli. È per questo che, rifiutandosi di lottare con i riformisti, poiché essi non lotteranno mai seriamente contro la borghesia di cui sono i servitori, avremo l’approvazione dei compagni che già sanno tutto questo ma non persuaderemo uno solo degli operai che ancora seguono i riformisti. Al contrario, rifiutandoci di condurre la lotta in comune, in un momento in cui le masse operaie la richiedono, i comunisti darebbero ai socialtraditori l’opportunità di presentarli nuovamente come i sabotatori della unità del fronte del proletariato. Ma se noi partecipiamo alla lotta, allora le masse vedranno presto chi vuole veramente lottare contro la borghesia e chi non vuole. I nostri compagni che ci guardavano scontenti, collocandoci sullo stesso tavolo dei riformisti, comprenderanno, nel corso dei negoziati, che anche in quella sede noi si fa un lavoro rivoluzionario.
Dopo che il Comitato esecutivo allargato ebbe adottato all’unanimità – meno i voti dei compagni italiani, francesi e spagnoli – le direttive contenute nelle risoluzioni, le tre delegazioni avversarie del fronte unico fecero una dichiarazione, promettendo di sottomettervisi.
Il Comitato esecutivo allargato decise di accettare l’invito dell’Internazionale di Vienna a partecipare a una conferenza internazionale proponendo di invitare alla conferenza non soltanto l’Internazionale sindacale di Amsterdam, gli organismi anarco-sindacalisti e le organizzazioni sindacali indipendenti e di mettere all’ordine del giorno della conferenza, accanto alla lotta contro l’offensiva del capitalismo e contro la reazione, la questione della lotta contro le nuove guerre imperialiste, quella della restaurazione della Russia sovietica e quella delle riparazioni e del trattato di Versailles.
Dopo aver regolato ancora qualche questione (quella della stampa comunista, dell’Opposizione operaia nel Partito comunista russo, ecc.), e dopo aver proceduto all’elezione del presidente del Comitato esecutivo, la conferenza ebbe termine il 4 marzo.

La conferenza preliminare delle tre internazionali

II 2 aprile ebbe luogo la prima seduta delle delegazioni delle tre internazionali. composte ciascuna da dieci membri. I rappresentanti della Seconda Internazionale cercarono subito di far naufragare la conferenza e di annegare il fronte unico ancora in embrione. Posero condizioni all’ Internazionale comunista, reclamarono «garanzie» contro la tattica dei «nuclei» e si misero a discutere della questione georgiana e di quella dei socialisti-rivoluzionari. Ne risultò una situazione tale da far pensare che la conferenza fosse sul punto di sciogliersi. Grazie all’energico atteggiamento dei delegati dell’Internazionale comunista, che imposero il fronte unico senza condizioni, i delegati dell’Internazionale di Vienna si allinearono con le loro posizioni, il che costrinse i delegati della Seconda Internazionale a fare marcia indietro. Dopo quattro giorni di negoziati si decise di convocare entro il minor tempo possibile una conferenza generale. Si nominò una commissione composta da tre membri per ciascun comitato esecutivo, incaricata di preparare questa conferenza. In attesa della riunione di questa conferenza generale si decise di organizzare manifestazioni comuni di tutti i partiti aderenti alle tre internazionali, per il 20 aprile successivo e, dove ciò non fosse tecnicamente possibile, per il 1° maggio, con le seguenti parole d’ordine:
Per la giornata di 8 ore;
per la lotta contro la disoccupazione, provocata dalla politica delle riparazioni di guerra delle potenze capitalistiche;
per l’azione unita del proletariato contro l’offensiva capitalista;
per la rivoluzione russa, per la Russia affamata, per la ripresa delle relazioni politiche ed economiche con la Russia;
per la ricostruzione del fronte unico nazionale e internazionale.
La commissione organizzativa fu incaricata di fare da intermediaria tra i rappresentanti dell’Internazionale sindacale di Amsterdam e quelli dell’Internazionale rossa dei sindacati. I delegati dell’Internazionale comunista resero una dichiarazione sulla base della quale i processi ai socialisti rivoluzionari avrebbero avuto luogo in piena pubblicità e si sarebbero conclusi senza condanne a morte. La risoluzione constatava inoltre che la conferenza generale non avrebbe potuto aver luogo in aprile perché la Seconda Internazionale rifiutava quella data con diversi pretesti: essa rifiutava anche di iscrivere all’ordine del giorno della conferenza la questione del trattato di Versailles e della sua revisione.
Le manifestazioni del 20 aprile e del 1° maggio seguenti, alle quali presero parte immense masse operaie, mostrarono che il proletariato era deciso a lottare unito per le parole d’ordine che erano state lanciate. La Seconda e i partiti che la componevano cercano, oggi come ieri, di sabotare in ogni modo il fronte unico. Si rifiutano di organizzare manifestazioni comuni, ritardano l’esecuzione delle decisioni adottate e contribuiscono così a smascherarsi di fronte alle masse.
È compito dell’Internazionale comunista e delle sue sezioni nazionali dimostrare, con le loro azioni, che la lotta contro l’offensiva capitalista e contro il capitalismo in generale non può riuscire se non è diretta dall’Internazionale comunista.
Come era da attendersi, la Seconda Internazionale e la Internazionale di Vienna fecero saltare la Commissione dei nove. Dopo aver impedito la riunione della commissione durante la conferenza di Genova, affinché la borghesia non fosse minimamente turbata nelle sue decisioni contro la Russia sovietica, la prima sessione, che fu anche l’ultima, ebbe luogo il 23 maggio a Berlino. Il 21 maggio aveva avuto luogo una riunione del Labour Party, del Partito operaio belga, e del Partito socialista francese, nel corso della quale era stata decisa una conferenza generale di tutti i partiti socialisti, escludendo i comunisti. Era chiaro che la Seconda Internazionale e la «due e mezzo» erano ritornate al loro progetto di fronte unico contro il comunismo. Malgrado questo l’Internazionale comunista fece tutto ciò che era in suo potere per permettere la riunione di un congresso internazionale di tutti i partiti socialisti. Per arrivare a conseguire lo scopo del fronte unico, cioè la lotta contro l’offensiva del capitale, contro il calo dei salari e contro la disoccupazione, essa si dichiarò pronta a eliminare dall’ordine del giorno del congresso la questione del soccorso alla Russia sovietica, già adottata nella piattaforma comune. In cambio, essa reclamava una precisa risposta alla domanda se la Seconda Internazionale accettasse, sì o no, il congresso operaio mondiale. Posta di fronte a questa domanda, la Seconda Internazionale si svelò come l’avversaria del fronte unico, come la sua benevola assistente, l’Internazionale di Vienna. La Commissione dei nove si sciolse.
L’Internazionale comunista convocò allora una nuova sessione del Comitato esecutivo allargato. Esso si riunì il 7 giugno. Vi parteciparono sessanta delegati in rappresentanza di ventisette paesi. La conferenza discusse la questione della tattica da seguire dopo gli insegnamenti della prima tappa della lotta per il fronte unico, la tattica dei partiti la cui politica non corrispondeva alla politica generale dell’Internazionale comunista, e infine la posizione della Internazionale comunista di fronte al processo dei socialisti-rivoluzionari e la convocazione del congresso mondiale.
Per quel che riguarda la tattica del fronte unico, la conferenza prese atto del fatto che, malgrado lo scacco della Commissione dei nove, i postulati politici ed economici della tattica del fronte unico sussistevano come in precedenza e che conseguentemente la tattica delle diverse sezioni dell’Internazionale comunista doveva consistere nello stabilire l’unità del fronte contro l’offensiva del capitale.
Poiché i partiti francese, italiano e norvegese non avevano messo in atto la tattica del fronte unico, o non l’avevano eseguita se non con esitazione o parzialmente. la conferenza Si occupò dettagliatamente della situazione interna di questi partiti ed espresse il voto che questa tattica fosse applicata anche in questi paesi. Per quel che riguarda il partito francese, essendo palese che la presenza di una larga destra opportunista ne ostacolava l’attività e lo sviluppo, il Comitato esecutivo dichiarò che il miglior modo per rimediare alla situazione era l’unione del centro e della sinistra contro la destra. La conferenza esaminò parimenti la situazione del Partito comunista cecoslovacco in cui apparivano i sintomi di una prossima crisi. Se ne vide la causa in una certa passività della direzione del partito, si stabilirono le misure opportune per eliminarla.
Per quel che riguarda il processo ai socialisti-rivoluzionari si constatò che, dal momento che la Seconda Internazionale e l’Internazionale di Vienna avevano intrapreso una campagna contro l’Internazionale comunista e la Russia sovietica e che inoltre si trattava di un affare che interessava insieme sia la Russia sovietica. strada maestra della rivoluzione mondiale, sia l’Internazionale comunista, quest’ultima doveva partecipare attivamente al processo inviandovi degli accusatori, dei difensori, dei testimoni e degli esperti.

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