La Rivoluzione Ungherese del 1956

La rivoluzione operaia contro la burocrazia stalinista predetta da Trotsky

di Benito Toribio Morales

Il 23 ottobre, noi rivoluzionari commemoriamo il sessantacinquesimo* anniversario della rivoluzione ungherese del 1956. D’altra parte, altri continueranno a screditarla. Sia la destra che la borghesia imperialista e la sinistra del sistema, in particolare lo stalinismo, mentiranno dicendo che è stata una rivoluzione contro il comunismo e a favore del capitalismo. Il loro obiettivo è nascondere il carattere operaio della rivoluzione politica ungherese, espresso nella nascita degli organi rivoluzionari, i Consigli operai che mettevano gli operai al centro degli eventi e terrorizzavano la burocrazia stalinista.
Non solo questa grande rivoluzione è stata calunniata per decenni dallo stalinismo, che dice che era una rivoluzione anticomunista, ma anche quelli che avevano rinnegato il trotskismo con a capo Michel Pablo, che avevano rotto la Quarta Internazionale nel 1953 per, in seguito, riunificarsi e formare con altri il Segretariato Unificato nel 1963, non appoggiarono questa rivoluzione perché, secondo loro, avrebbe potuto fare il gioco dell’imperialismo statunitense e mettere in pericolo il potere stalinista, che consideravano progressista. La verità è che gli operai ungheresi intrapresero una lotta contro l’imperialismo e lo stalinismo a favore della democrazia operaia in quella che fu la prima di diverse rivoluzioni politiche negli stati operai degenerati o deformati.

Lo Sciopero generale fu la risposta ungherese all’invasione dei carri armati del Cremlino. Nel 1956, la stragrande maggioranza degli ungheresi non metteva in discussione il socialismo, al contrario. Non volevano un “socialismo” sminuito dal controllo totalitario della casta burocratica stalinista. Credevano in un socialismo completo, cioè senza oppressione nazionale e con la democrazia operaia.
Ma questa reazione degli operai ungheresi non riuscì a trovare una risposta nel proletariato internazionale perché c’era un assedio alla rivoluzione ungherese che era isolata dalla classe operaia del resto del mondo dagli stalinisti e da chi rinnegava il trotskismo. Tutti difesero lo stalinismo che riceveva, oltre all’appoggio dell’imperialismo statunitense che, nelle parole del suo segretario di Stato americano, John Foster Dulles, si impegnava a non intervenire negli affari dell’Europa orientale perché l’Ungheria era considerata «come una questione interna dell’URSS e non consideriamo queste nazioni possibili alleati militari». Fu la conseguenza della coesistenza pacifica tra stalinismo e imperialismo derivata dagli accordi controrivoluzionari di Yalta e Potsdam che furono un patto di contenimento della rivoluzione mondiale tra la burocrazia stalinista e l’imperialismo per, da un lato, fermare la rivoluzione nell’Europa occidentale del dopoguerra (in Grecia, Francia, Italia…) e, dall’altro, mantenere un ferreo controllo burocratico e controrivoluzionario sulle masse dei paesi dell’Europa orientale occupati dalla burocrazia stalinista con l’Armata Rossa – compreso lo schiacciamento con il sangue e il fuoco dei processi di rivoluzione politica come la sollevazione degli operai di Berlino Est nel 1953, la rivoluzione ungherese del 1956, e poi la Primavera di Praga nel 1968. La classe operaia rivoluzionaria terrorizzava questa burocrazia stalinista che temeva di perdere i suoi privilegi e quindi si impegnò fino in fondo per porre fine a queste rivoluzioni.

A causa del tradimento della sinistra stalinista ed ex-trotskista, il proletariato mondiale non gridò “I carri armati sovietici non passeranno!” o “Siamo tutti operai ungheresi!”. Unire il destino della rivoluzione politica ungherese con la rivoluzione sociale dei lavoratori dell’Europa occidentale era la condizione per la rivoluzione europea su entrambi i lati della cortina di ferro. Dietro i carri armati del Cremlino arrivò la controrivoluzione, non la rivoluzione degli eredi dell’ottobre 1917, la stragrande maggioranza dei quali era già stata uccisa da sicari stalinisti o fucilata dopo i processi di Mosca. A causa di chi rinnegò il trotskismo, la Quarta Internazionale come partito mondiale non divenne di massa nel dopoguerra e non intervenne nei processi di rivoluzione politica da quando Michel Pablo mise i suoi seguaci nei partiti stalinisti.

Nella rivoluzione politica ungherese il fattore determinante era la classe operaia e la sua organizzazione che culminava nel suo organismo principale, il Consiglio Operaio Centrale della Grande Budapest. La campagna di intossicazione dell’imperialismo e dello stalinismo nascondeva che gli operai combattevano perché le fabbriche appartenessero agli operai, con i consigli operai democraticamente eletti a dirigerle. Viene anche nascosto che la forza pubblica era organizzata dagli operai delle fabbriche e dalle loro milizie operaie e che si esigevano libere elezioni affinché vi partecipassero partiti che riconoscevano le conquiste socialiste sulla base della proprietà collettiva dei mezzi di produzione.
Il ruolo dello stalinismo internazionale, a cui si piegarono gli ex-trotskisti pablsiti-mandelisti fu impedire l’estensione della rivoluzione e legare la classe operaia internazionale ai piani di coesistenza pacifica tra l’imperialismo e la burocrazia usurpatrice delle conquiste della rivoluzione d’Ottobre.
In questo testo tratteremo le lezioni di questa grande rivoluzione operaia senza dimenticare i dibattiti e le analisi intorno agli eventi, come il fatto che, oltre ad evitare l’isolamento come condizione per la vittoria, sarebbe stato anche necessario costruire il partito rivoluzionario per la presa del potere che avrebbe potuto portare alla vittoria definitiva della rivoluzione ungherese. Analizzeremo anche come nella rivoluzione ungherese i consigli operai si sono formati come intervento indipendente della classe operaia. Ma prima chiariremo cos’è una rivoluzione politica basandoci sui testi di Lev Trotsky per poi confrontarli con i fatti e concludere la correttezza delle sue previsioni.

Cos’è una rivoluzione politica secondo Trotsky?

Lev Trotsky analizzò la burocrazia stalinista nella sua opera “La rivoluzione tradita” (1936) e definì l’URSS come uno stato operaio degenerato. Trotsky definì tale regime come una dittatura della burocrazia sul proletariato, ma basata sui rapporti di proprietà creati dalla rivoluzione. Questo regime era bonapartista in una società di transizione tra capitalismo e socialismo, fermando tale transizione. In quel lavoro spiegò la necessità di una nuova rivoluzione, una rivoluzione politica, per rigenerare l’URSS. Trotsky avvertì che la burocrazia stalinista rappresentava una minaccia atroce per la sopravvivenza dell’URSS poiché gli interessi materiali della burocrazia stalinista erano inconciliabilmente opposti a quelli della classe lavoratrice. E assicurò che non poteva essere riformata, ma che doveva essere rovesciata attraverso una rivoluzione politica. Trotsky elaborò, con sorprendente certezza, il suo famoso “pronostico alternativo”: o una rivoluzione politica avrebbe rovesciato la burocrazia o la burocrazia avrebbe ripristinato il capitalismo. Questo è ciò che dice ne “Il programma di transizione”: «Il regime dell’URSS incarna terribili contraddizioni. Ma è ancora uno stato operaio degenerato. Questa è la diagnosi sociale. Il pronostico politico ha un carattere alternativo: o la burocrazia che diventa sempre più l’organo della borghesia mondiale nello stato operaio rovescerà le nuove forme di proprietà e affogherà nuovamente il Paese nel capitalismo, o la classe operaia schiaccerà la burocrazia e aprirà la strada al socialismo.» (Il programma di transizione. 1938)
In “La rivoluzione tradita” Trotsky definì che l’URSS non era né uno Stato “capitalista” né uno Stato “socialista”, ma una transizione tra l’uno e l’altro, con una contraddizione chiave tra le basi economico-sociali dello Stato operaio e la sovrastruttura statale degenerata da una casta burocratica stalinista. Trotsky definì che, per difendere l’URSS come Stato operaio, il compito della classe operaia sovietica era quello di compiere una rivoluzione politica: cioè rovesciare l’apparato burocratico stalinista e ricostruire gli organi della democrazia operaia, mantenendo però le nuove basi economico-sociali dello Stato operaio nate dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917.

Trotsky teorizzò nella sua Teoria della Rivoluzione Permanente che esiste una sola rivoluzione socialista mondiale, che combina compiti diversi per le classi operaie dei Paesi imperialisti, dei Paesi coloniali o semi-coloniali e quelle di quei Paesi in cui la borghesia è stata espropriata, gli Stati operai, ma dove la burocrazia stalinista aveva effettuato una controrivoluzione burocratica, espropriando ai lavoratori la direzione del proprio Stato e portandolo alla degenerazione.

Per Trotsky, la rivoluzione che era necessaria in URSS (e dopo la seconda guerra mondiale, anche nei nuovi Stati operai deformati) non era una rivoluzione sociale, ma una rivoluzione politica, il cui obiettivo centrale è rovesciare la burocrazia controrivoluzionaria e trasformare quegli Stati in Stati operai rivoluzionari, ma «senza modificare le basi economiche della società o sostituire una forma di proprietà con un’altra». (La rivoluzione tradita, 1936).

La rivoluzione politica è una rivoluzione della maggioranza dei lavoratori e dei contadini organizzati nei soviet, contro la burocrazia controrivoluzionaria per rovesciarla e recuperare la direzione del proprio Stato che essa aveva espropriato. Così lo definì Trotsky nel Programma di transizione: «La burocrazia ha sostituito i soviet come organi di classe. È necessario restituire ai soviet non solo la loro libera forma democratica, ma anche il loro contenuto di classe. Proprio come una volta alla borghesia e ai kulaki non era permesso entrare nei soviet, ora è necessario espellere la burocrazia e la nuova aristocrazia dai soviet. Nei soviet c’è spazio solo per i rappresentanti degli operai, dei lavoratori delle fattorie collettive, dei contadini, dei soldati dell’Armata Rossa». (Il programma di transizione.1938).

La rivoluzione politica aveva bisogno di un programma e di una direzione rivoluzionaria (un partito rivoluzionario) alla sua testa che potesse portarla alla vittoria. Questo programma è stato sviluppato da Trotsky nel Programma di transizione, dove ha concluso dicendo: «È impossibile realizzare questo programma senza il rovesciamento della burocrazia, la quale si mantiene con la violenza e la falsificazione. Solo la sollevazione rivoluzionaria vittoriosa delle masse oppresse può resuscitare il regime sovietico e assicurarne l’ulteriore sviluppo verso il socialismo. C’è solo un partito capace di condurre all’insurrezione le masse sovietiche: il partito della Quarta Internazionale! Abbasso la banda burocratica Caino-Stalin! Viva la democrazia sovietica! Viva la rivoluzione socialista internazionale!» (Il programma di transizione.1938).

Trotsky in “La rivoluzione tradita”, spiegò che bisognava rovesciare la casta burocratica e ristabilire il potere della democrazia operaia con i suoi soviet (consigli operai): «Non si tratta di rimpiazzare un gruppo dirigente con un altro, ma di cambiare i metodi stessi della direzione economica e culturale. L’arbitrarietà burocratica dovrà cedere il posto alla democrazia sovietica. Il ripristino del diritto di critica e di una libertà elettorale autentica, sono condizioni necessarie per lo sviluppo del Paese. Il ripristino della libertà dei partiti sovietici e la rinascita dei sindacati sono parte di questo processo. La democrazia provocherà, nell’economia, la revisione radicale dei piani a beneficio dei lavoratori. La libera discussione dei problemi economici diminuirà le spese generali imposte dagli errori e dagli zigzag della burocrazia. (…) Le “regole borghesi di distribuzione” saranno ridotte alle proporzioni strettamente richieste dalla necessità e regrediranno, nella misura in cui crescerà la ricchezza sociale, di fronte all’uguaglianza socialista. I gradi saranno aboliti immediatamente e le decorazioni restituite allo spogliatoio. La gioventù potrà respirare liberamente, criticare, sbagliare, maturare. La scienza e l’arte si scrolleranno di dosso le loro catene. La politica estera rinnoverà la tradizione dell’internazionalismo rivoluzionario.» (“La rivoluzione tradita”, 1936).

Due anni dopo Trotsky aggiunse: «La questione è come sbarazzarsi della burocrazia sovietica che opprime e saccheggia gli operai e i contadini, porta alla rovina le conquiste dell’Ottobre ed è il principale ostacolo sulla via della rivoluzione internazionale. Da tempo siamo giunti alla conclusione che questo può essere raggiunto solo attraverso il rovesciamento violento della burocrazia, cioè attraverso una nuova rivoluzione politica. […] Ma per raggiungere questo obiettivo, dobbiamo comprendere teoricamente, mobilitare politicamente e organizzare l’odio delle masse contro la burocrazia come casta dominante. Autentici soviet di operai e contadini possono sorgere solo nel corso della sollevazione contro la burocrazia. Tali soviet saranno incitati a lottare crudelmente contro l’apparato poliziesco-militare della burocrazia. […] I soviet possono sorgere solo nel corso di una lotta decisiva. Saranno creati da quegli strati di lavoratori che sono attratti nel movimento. L’importanza dei soviet sta proprio nel fatto che la loro composizione non è determinata da criteri formali, ma dalla dinamica della lotta di classe. Alcuni strati dell’aristocrazia sovietica oscilleranno tra il campo degli operai rivoluzionari e il campo della burocrazia. Se questi strati entreranno nei soviet e in quale fase dipenderà dallo sviluppo generale della lotta e dall’atteggiamento che i diversi gruppi dell’aristocrazia sovietica adotteranno in questa lotta. Quegli elementi della burocrazia e dell’aristocrazia che, nel corso della rivoluzione, passano dalla parte degli insorti, troveranno senza dubbio posto anche nei soviet. Ma questa volta non come burocrati e “aristocratici”, ma come partecipanti alla rivolta contro la burocrazia.» (Lev Trotsky, È necessario espellere dai soviet la burocrazia e l’aristocrazia, 4 luglio 1938).

La burocrazia stalinista è il principale agente controrivoluzionario dell’imperialismo sia all’interno degli Stati operai che in tutto il pianeta, che ha impedito e impedisce con la sua azione lo sviluppo della rivoluzione mondiale. La rivoluzione politica, affrontando la burocrazia e l’aristocrazia operaia, era quindi parte indivisibile della rivoluzione proletaria mondiale, perché si inscriveva nella lotta per sconfiggere le direzioni controrivoluzionarie del proletariato in tutto il mondo, e la principale di esse, la burocrazia stalinista. Ecco perché, allo stesso tempo, le grandi lotte della classe operaia d’occidente erano il grande alleato dei lavoratori degli Stati operai nella loro lotta contro la burocrazia.

Dopo la seconda guerra mondiale: Stati operai nati burocraticamente deformati nell’Europa dell’Est

Il regime di Stalin si consolidò nell’URSS negli anni ’30 grazie a una brutalità repressiva generalizzata contro la classe operaia e la sua avanguardia, assassinando la vecchia guardia del partito bolscevico che aveva realizzato la rivoluzione nel 1917. I nuovi rapporti di proprietà collettiva conquistati dalla Rivoluzione d’Ottobre si dimostrarono più forti contro l’imperialismo nella seconda guerra mondiale, anche con lo stivale della burocrazia su di essi, perché la classe operaia difese eroicamente la proprietà nazionalizzata contro i nazisti. Approfittando dell’ascesa rivoluzionaria della classe operaia nell’Europa occidentale del dopoguerra, che spaventò l’imperialismo e il capitalismo, e della presenza dell’Armata Rossa che occupava l’Europa orientale, la burocrazia stalinista dell’URSS negoziò con l’imperialismo nei patti di Yalta e Potsdam il riconoscimento del suo predominio sui Paesi occupati dell’Europa orientale. Gli accordi controrivoluzionari di Yalta e Potsdam furono un patto di contenimento della rivoluzione mondiale, stretto tra la burocrazia stalinista e l’imperialismo al fine, da un lato, di fermare la rivoluzione nell’Europa occidentale del dopoguerra (in Grecia, Francia, Italia…) e, dall’altro, di mantenere un ferreo controllo burocratico e controrivoluzionario sulle masse dei Paesi dell’Europa orientale occupati dalla burocrazia stalinista con l’Armata Rossa – tra cui, come vedremo, lo schiacciamento nel sangue e col fuoco dei processi di rivoluzione politica come la sollevazione degli operai di Berlino Est nel 1953, la rivoluzione ungherese del 1956 e poi la Primavera di Praga nel 1968. Cioè, la burocrazia “pagò” consegnando la rivoluzione in Occidente, e lo stalinismo si trasformò da quel momento nel principale sostegno del decaduto e semi-rovinato regime capitalista in Europa. È così che sorsero le “Democrazie Popolari” nell’Europa orientale come risultato di questo negoziato dello stalinismo con l’imperialismo, e in esse i gerarchi del Cremlino collocarono le loro agenzie burocratiche nazionali che stabilirono regimi totalitari senza il minimo accenno di democrazia operaia. Gli accordi segreti di Yalta e Potsdam sono una prova inconfutabile del tradimento storico di Stalin e della casta burocratica che guidava.

Quando furono occupati dall’Armata Rossa, questi Stati subirono in prima istanza un processo di formazione di governi di coalizione di unità nazionale sostenuti dalle truppe di occupazione, con rappresentanti dei partiti della borghesia nativa insieme ai piccoli partiti stalinisti (comunisti) che mantenevano giuridicamente la proprietà privata. Ci furono elezioni farsa a livello statale, locale e regionale supervisionate dall’esercito russo occupante e dalla polizia segreta di Stalin. All’inizio questi regimi avevano una struttura capitalista, essendo i loro Stati borghesi dotati di caratteristiche bonapartiste.
In quegli anni c’era chiaramente il “ricatto degli occupanti”, l’URSS collocava i membri dei partiti stalinisti locali in posizioni di rilievo nei sindacati, nelle associazioni giovanili, nelle istituzioni culturali e di altro tipo. Per i loro soci dei partiti borghesi venivano lasciati posti pubblici mentre gli stalinisti accettavano posti chiave dietro le quinte. I partiti comunisti dell’Europa orientale erano chiaramente i gruppi politici più influenti della regione, non per i loro numeri, ma a causa dei loro “consiglieri” sovietici nel NKVD e nell’Armata Rossa che fecero un esercizio ricattatorio di infiltrazione in tutte le istituzioni.
In ogni territorio occupato dall’Armata Rossa, l’URSS stabiliva sempre una nuova istituzione la cui forma seguiva sempre il modello stalinista sovietico. La struttura della nuova polizia segreta non era mai lasciata nelle mani dei politici locali. Le forze di polizia segrete dell’Europa orientale erano copie esatte del loro progenitore sovietico, l’NKVD (successore della GPU e precursore del KGB): nacquero così la temuta polizia segreta polacca (UrzadBezpieczenstwa, o SB), l’Agenzia ungherese per la sicurezza dello Stato (Államvédelmi Osztály, o ÁVO), che nel 1953 fu ribattezzata Autorità di protezione dello Stato (ÁllamvédelmiHatóság, o ÁVH), il Ministero per la sicurezza dello Stato della Germania dell’Est (Ministerium für Steaatssicherheit, o Stasi) e la Sicurezza di Stato della Cecoslovacchia (Státníbezpecnost, o StB).
La forza di polizia di molti stati orientali era una struttura al di fuori della legalità, che non era controllata dal Ministero degli Interni o dal governo, ma solo dal partito stalinista. Cioè, dal 1945 la polizia politica riferiva direttamente al vertice del partito, senza prestare il minimo rispetto per il governo provvisorio di coalizione. La polizia politica, come organo indipendente, non doveva rendere conto a nessuno se non a se stessa.

A poco a poco questi Paesi attraversarono una graduale trasformazione dei rapporti sociali, che si svolgeva burocraticamente, senza che ci fosse una conquista del potere da parte del proletariato, attraverso una “fredda” integrazione di quei Paesi nell’orbita dell’URSS. C’è stata una rottura di queste coalizioni di collaborazione di classe e a poco a poco si è verificata l’espropriazione dei capitali nativi e imperialisti, trasformando i rapporti sociali della regione in modo burocratico-militare, attraverso l’occupazione dell’Armata Rossa, senza rivoluzioni. La burocrazia stalinista espropriò nel dopoguerra in un contesto di condizioni rivoluzionarie, con tendenze di ripresa rivoluzionaria, cioè la pressione delle masse sulla burocrazia ha svolto un ruolo importante nella realizzazione di questi processi di espropriazione dall’alto. Questa trasformazione dell’Europa orientale come frutto di un’espansione burocratico-militare dell’URSS rese necessario espropriare le borghesie native come unico modo per contenere la rivoluzione in Occidente e controllarla in Oriente; creando stati operai burocraticamente deformati a immagine e somiglianza dell’URSS, con una linea contraria all’espansione internazionalista della rivoluzione e quindi controrivoluzionaria, in ossequio al piano internazionale di Yalta, di conciliazione dello stalinismo con la borghesia e l’imperialismo.
Nei paesi dell’Est, l’imperialismo, con la bancarotta della Germania e di tutta l’Europa imperialista, aveva perso ogni controllo sulle masse e su quegli Stati. L’emergere di Stati operai deformati e la necessità che la burocrazia impedisse alle masse di prendere direttamente il potere faceva parte dell’accordo di Yalta, che includeva che lo stalinismo garantiva la sopravvivenza delle potenze imperialiste in Europa e a livello internazionale.
L’espropriazione in Oriente non era per difendere l’URSS dall’imperialismo, ma faceva parte di un patto con esso affinché la burocrazia si occupasse delle masse. Era una politica di contenimento in modo che la rivoluzione non raggiungesse l’Europa imperialista. Cioè, era una politica difensiva dell’imperialismo per preparare le condizioni offensive, come accadde decenni dopo, per la restaurazione capitalista.
Questa era la divisione del lavoro secondo Yalta: l’imperialismo accettava persino di perdere tatticamente l’Europa orientale, piuttosto che perdere l’Europa imperialista. L’imperialismo non aveva forze proprie per invadere la Polonia, la Cecoslovacchia, la Romania, l’Ungheria, i Balcani, ecc. e raggiungere i confini dell’URSS. Al contrario, aveva bisogno dello stalinismo affinché lo salvasse. Per fare questo, hanno poi fondato l’ONU, dove tutti hanno aderito come garanzia del Patto di Yalta.
Erano stati istituiti regimi totalitari di ideologia dominante, con un unico partito al potere e una forza di polizia segreta disposta a usare il terrore e il monopolio dell’informazione. Il blocco orientale cominciò a imitare l’URSS di Stalin con il suo terrore sistematico governato dalla polizia politica, le sue purghe di massa, l’industrializzazione accelerata che imponeva elevati ritmi di sfruttamento della classe operaia, la collettivizzazione forzata delle campagne e l’estrema spesa per la militarizzazione dei regimi a partito unico per cui i Paesi dell’Est avevano una generalizzata mancanza di beni di consumo e cattive condizioni generali di vita.

Un blocco orientale sorvegliato e sfruttato dai burocrati stalinisti del Cremlino

Fin dalla loro genesi, questi nuovi stati operai (come la DDR, l’Ungheria, la Cecoslovacchia, la Polonia…) creati “dall’alto”, e senza che ci fosse di mezzo una rivoluzione, condividevano molte delle caratteristiche che Trotsky aveva analizzato per l’URSS, adottando, ripetiamo, un carattere di Stati operai burocratici, non socialisti. I processi di espropriazione della borghesia si realizzarono “dall’alto” negli Stati dell’Europa orientale, senza partecipazione ne beneficio della classe operaia. Così Stalin e la sua polizia segreta intrapresero la conversione di un nuovo blocco politico di Stati operai nati burocraticamente deformati, e questo avvenne in un tempo sorprendentemente breve. L’Europa orientale fu completamente stalinizzata. A capo di ciascuno degli stati del blocco orientale Stalin mise piccoli Stalin, vale a dire: Walter Ulbrich nella Germania dell’Est, Mátyás Rákosi in Ungheria, Bolesław Bierut in Polonia, Klement Gottwald in Cecoslovacchia, Josip Tito in Jugoslavia, Georgi Dimitrov in Bulgaria, Gheorghe Gheorghiu-Dej in Romania e Enver Hoxha in Albania.

La burocrazia russa, sebbene non fosse una classe possidente, e l’URSS, sebbene non fosse capitalista, sfruttarono le nazioni dell’Europa orientale e i loro lavoratori. Già Lenin metteva in guardia, prima di morire, contro le deviazioni di Stalin e dell’URSS nei rapporti con le nazionalità che costituivano l’URSS. Più tardi, Trotsky sollevò la possibilità che l’URSS stalinizzata si trasformasse in sfruttatrice di altri Paesi, anche se non in una forma imperialista-capitalista.
Ad esempio, l’Ungheria, a titolo di riparazioni dopo la seconda guerra mondiale, dovette pagare all’URSS 600 milioni di dollari. Inoltre, gli ungheresi dovettero pagare tutte le spese dell’Armata Rossa di stanza e in transito attraverso l’Ungheria, comprese quelle per il cibo e l’alloggio. La burocrazia stalinista dell’URSS costituì in Ungheria società miste per controllare la produzione ungherese di petrolio, carbone e la sua industria.
Ovviamente, a questo sfruttamento del Paese occupante sull’occupato se ne aggiunse un altro, quello che subirono i lavoratori di tutti questi Paesi dell’Europa orientale, come l’Ungheria. Senza alcuna pianificazione operaia, la burocrazia nazionale ungherese abusava con ritmi sfruttatori di produzione della classe operaia autoctona ungherese. Pertanto, gli operai della rivoluzione politica ungherese, di cui ci occuperemo in seguito, avevano un doppio nemico, da un lato, la burocrazia stalinista d’invasione che li opprimeva e, dall’altro, la burocrazia nazionale stalinista istituita dall’URSS che ugualmente li opprimeva. Questo è il motivo per cui, in un primo momento, l’intera nazione è intervenuta nella lotta contro l’oppressore straniero. Ma, soprattutto, la classe operaia è rimasta come unica direzione, che non solo lottava contro lo sfruttamento nazionale, ma anche contro lo sfruttamento per mano della burocrazia nativa. Prova di ciò è la formazione di consigli operai che si coordinarono nel Consiglio Operaio Centrale della Grande Budapest, come vedremo più avanti.

Allo sfruttamento nazionale e sociale a cui erano sottoposti i lavoratori della zona di influenza della burocrazia sovietica nell’Europa orientale, si aggiungeva il totalitarismo politico e culturale dei regimi totalitari di quei Paesi. Lo Stato totalitario che, pur non liquidando le grandi conquiste economiche della Rivoluzione d’Ottobre (come la nazionalizzazione dei mezzi di produzione, il monopolio del commercio estero o la pianificazione totale dell’economia), liquidò il contenuto leninista di queste conquiste (l’intervento libero e democratico dei lavoratori). Pertanto, la struttura politica nei Paesi dell’Europa orientale era quella di un regime totalitario, senza alcuna democrazia operaia, controllato da una burocrazia creata e diretta dal Cremlino da Stalin.

Queste furono le ragioni per cui i lavoratori dell’Est si ribellarono contro i tiranni stalinisti usurpanti le conquiste rivoluzionarie ed ebbero luogo i processi di rivoluzione politica, che Trotsky non vide mai e che attraversarono i tre decenni dopo la seconda guerra mondiale. C’è un filo conduttore da Berlino nel 1953 alla Polonia nel 1981, passando per l’Ungheria nel 1956 e la Cecoslovacchia nel 1968.

1953-1956: Lo stalinismo senza Stalin contro l’impeto rivoluzionario. Antecedenti della rivoluzione ungherese

Il punto di partenza di tutto ciò che accadrà in Ungheria a partire dal 23 ottobre 1956 fu la morte di Stalin, avvenuta il 6 marzo 1953. Pochi mesi dopo a Berlino, il 17 giugno 1953, ebbe luogo la prima manifestazione di malcontento. Ci fu un’insurrezione di operai che si estese in tutta la Germania dell’Est (la DDR). Ci fu un’altra rivolta molto meno conosciuta in Cecoslovacchia, anch’essa rapidamente schiacciata. Si può dire che la morte di Stalin segnò l’inizio della prima fase del processo rivoluzionario della classe operaia dell’Europa orientale. La scomparsa di Stalin, combinata con i problemi economici del blocco sovietico, propiziarono una svolta della burocrazia per attenuare il malcontento, chiamata il “nuovo corso”, seguito in seguito dalla cosiddetta “destalinizzazione”. I leader della burocrazia sovietica, ex seguaci a oltranza di Stalin, volevano ringiovanire la facciata del regime burocratico per garantirne la loro continuità al potere. Con questa tattica finsero per convenienza di ritenere l’idolo morto responsabile di tutti i problemi sofferti dai Paesi del blocco sovietico. Ma questo non smorzò il clima di rivolta in tutto il blocco orientale, al contrario, fu visto come un segno di debolezza e fu sfruttato dalla classe operaia, che già non sopportava più di vivere sotto gli stivali dello stalinismo.
Lo sciopero insurrezionale a Berlino ebbe un precedente nel maggio 1953 in Cecoslovacchia, dove iniziarono grandi scioperi che ebbero come fuoco principale il complesso industriale automobilistico della Skoda nella regione di Pilsen. Le mobilitazioni degli operai passarono rapidamente dallo sciopero di fabbrica alla ribellione politica contro i centri del potere politico. La repressione stalinista fu molto forte, causando 200 operai feriti e più di 2.000 prigionieri politici.
Quello che accadde nel giugno del 1953 a Berlino fu un vero e proprio sciopero insurrezionale, che lottava per abbassare le quote di produzione e per porre fine agli alti prezzi dei prodotti alimentari. I lavoratori berlinesi scesero in piazza in segno di protesta gridando “Berlinesi, uniamoci! Non vogliamo essere schiavi del nostro lavoro!” La risposta da parte del potere stalinista fu l’instaurazione della legge marziale e l’uso dei carri armati per reprimere. Gli operai si difesero con pietre, 50 persone morirono quel giorno. Altre centinaia furono arrestate e 13 furono condannate e uccise, accusate di tradimento. 500.000 persone in 373 città scioperarono in circa 600 aziende, tra 1 e 1,5 milioni di persone parteciparono a manifestazioni di qualche tipo. I lavoratori diedero persino fuoco alla sede del Partito Comunista e a diverse prigioni. L’apparizione dei carri armati sovietici pose fine alle manifestazioni e all’eroico sciopero.
Un mese dopo, nel luglio 1953, la notizia di ciò che accadde a Berlino raggiunse gli stessi campi di lavoro forzato dell’URSS e lo sciopero insurrezionale dei detenuti ebbe luogo a Vorkuta, il centro di detenzione finale dei trotskisti. La repressione costò 110 morti e 7.000 arresti. Il movimento si estese in altri centri di lavoro forzato, come Karaganda e Norilsk nel 1953 e Kingin nel 1954.
Dal 1953 al 1956 non solo la classe operaia, ma anche diversi strati dell’intellettualità, della gioventù e degli studenti universitari furono un focolaio d’inquietudine e ci fu la nascita di movimenti rivendicativi che portarono a proteste in diversi Paesi dell’Europa orientale. In Polonia la primo manifestazione di malcontento si verificò al Quinto Festival della Gioventù e degli Studenti per la Pace e l’Amicizia tenutosi nell’estate del 1955, dove i giovani del partito ebbero contatti con giovani di base occidentali, alcuni con inquietudini rivoluzionarie. In Ungheria nell’autunno del 1955 un gruppo di giovani lavoratori del Museo Nazionale Ungherese decisero di organizzare un gruppo di dibattito letterario e politico che battezzarono con il nome di Sándor Petófi, il giovane poeta della rivoluzione del 1848 che aveva combattuto per l’indipendenza dell’Ungheria. Nacque così il Circolo Petófi, che avrà un ruolo importante nella rivoluzione del 1956. Era un club di dibattito in cui le sue presunte discussioni intellettuali si trasformarono in colloqui aperti sulla censura, la pianificazione centrale e il realismo socialista. Nell’inverno del 1955, le principali fabbriche di Budapest iniziarono a inviare regolarmente delegazioni alle riunioni del Circolo Petófi. Diventarono uno straordinario forum per l’interazione tra la gioventù intellettuale e giovani operai.
La burocrazia nazionale dei Paesi occupati cercò di temperare il malcontento con “nuovi corsi” nella politica interna con un cambiamento di facciata. Nel 1954 in Ungheria il leader del Partito Comunista Erno Gero, fedele ai dettami di Stalin, decise di sostituire lo stalinista Rakosi con Imre Nagy, leader di un’ala della burocrazia nazionale meno stalinista, sebbene appartenente alla stessa casta. Anche Nagy era un uomo di Mosca, ma, sebbene fosse il principale leader dell’ala “riformatrice” del PC ungherese, non va dimenticato che fu un ex informatore del NKVD tra gli emigranti ungheresi dopo l’occupazione nazista, e poi ministro dell’Agricoltura tra il 1944-45, dell’Interno tra il 1945-46 e presidente dell’Assemblea legislativa tra il 1947-49. Era, quindi, un membro solido della burocrazia. Ma era l’uomo del “nuovo corso” in Ungheria e introdusse alcune riforme che invertirono le misure repressive dell’ala più dura della burocrazia che Rakosi incarnava. Solo un anno dopo, nel 1955, Imre Nagy fu destituito, riportando Rákosi al potere, che in seguito sarebbe stato sostituito dallo stesso Enro Gero.
Nel 1956 si tenne il XX Congresso del PCUS in cui fu promossa una politica con la quale la burocrazia stalinista dell’URSS cercava di ritardare o impedire la spinta rivoluzionaria dei Paesi orientali oppressi dall’URSS stalinizzata, così come quella della classe operaia di quegli stati. L’impeto rivoluzionario era tanto grande e un pericolo tale per la burocrazia stalinista che Krusciov fu persino costretto a fare una cosmetica “denuncia dei crimini di Stalin”. Questa denuncia tattica cercava di preservare i privilegi della casta burocratica stalinista e per questo era necessario “gettare in mare” lo stesso Stalin. Lo stalinismo senza Stalin di Krusciov prometteva libertà alle masse del suo stesso Paese e a quelle dei Paesi dell’Est per accordarsi meglio con l’imperialismo. Ma il tentativo di calmare le masse dell’Europa orientale non produsse alcun risultato giacché esse continuarono i movimenti rivoluzionari già iniziati.
Quindi possiamo dire che, se la morte di Stalin diede impulso a una prima ondata di proteste con lo Sciopero insurrezionale a Berlino nel 1953, il XX Congresso del 1956 segnò l’inizio della seconda ondata, molto più profonda, in cui la classe operaia approfittò di quella dimostrazione di debolezza del governo Krusciov. La nuova ascesa della classe operaia dell’Europa orientale culminò in movimenti insurrezionali in Polonia e in un’imponente rivoluzione in Ungheria contro l’oppressione nazionale, lo sfruttamento sociale e il totalitarismo politico.
Nel giugno 1956, in Polonia, 100.000 lavoratori scesero in sciopero reclamando quote di produzione meno rigorose e miglioramenti salariali, ma presto iniziarono anche a rivendicare “la fine della dittatura” e “che se ne vadano i russi”. I lavoratori imposero il controllo operaio, aumentarono i salari e abbassarono i prezzi. Le grida di “Libertà e Pane” e “russi fuori” erano unanimi e furono messe a tacere solo dai carri armati. L’esercito li represse con tremenda brutalità: circa 400 carri armati e 10.000 soldati spararono agli scioperanti e uccisero decine di persone. Responsabile del massacro fu l’esercito di occupazione dell’URSS e ciò colpì la coscienza di tutta la classe operaia dei paesi dell’Est. In seno al partito comunista polacco, un gruppo iniziò a chiedere la rimozione degli ufficiali sovietici responsabili. Per mitigare il malcontento generale il partito comunista polacco decise di fare un accordo al vertice con il “riformista” Gomulka, di un’ala nazionale della burocrazia meno stalinista per portarlo al potere. Avrebbe imposto alcune riforme anti-repressive, ma sotto il controllo del partito. In Ungheria, questo movimento diede speranza che si potessero cambiare le cose. Ma bisogna tenere presente che Gomulka fu la figura di ricambio del regime per contenere la crisi e si impiegò a fondo per porre fine alla crisi rivoluzionaria svuotando di contenuto i consigli operai e ponendoli sotto il dominio del partito comunista.

A Budapest il 6 ottobre 1956 ebbe luogo il funerale simbolico di Rajk e dei suoi compagni, uccisi nel 1949 in un processo stalinista prefabbricato. Questo funerale fu preteso dall’opposizione. I burocrati stalinisti dovettero cedere alla lotta e renderlo ufficiale. Centinaia di migliaia di partecipanti erano presenti e iniziarono a marciare in silenzio. Fu una manifestazione che già minacciava la vicinanza della rivoluzione di poche settimane dopo.

Un’imponente rivoluzione politica classica in Ungheria che terrorizzò la burocrazia stalinista

Ispirati dalle notizie provenienti dalla Polonia e con la fiducia che era stata instillata in loro dal grande corteo funebre di Rajk, nacquero Circoli Petofi in tutto il Paese. Dal 19 al 22 ottobre ci sono stati alti livelli di agitazione nelle università di Budapest e delle province dove gli studenti organizzavano le loro assemblee, respingevano i dirigenti stalinisti ufficiali e formavano le loro nuove organizzazioni studentesche eleggendo democraticamente i loro dirigenti. 5.000 studenti riempirono una sala dell’Università di Tecnologia di Budapest il 22 ottobre e tennero una votazione per uscire dall’Unione della Gioventù Lavoratrice (un’associazione controllata dalla Gioventù Comunista a cui ogni studente era obbligato ad appartenere) e formare la propria organizzazione. Da quell’assemblea venne il documento fondamentale che ricevette il nome de “i 16 punti”. Tra le altre cose, rivendicava il ritiro delle truppe sovietiche dall’Ungheria, che tutti i leader criminali dell’era Stalin-Rákosi fossero immediatamente deposti, che i lavoratori avessero il diritto di sciopero, che fosse fissato un salario minimo per i lavoratori, che fossero fissate libere elezioni, che tutti i processi politici fossero riesaminati da tribunali indipendenti, che ci fossero libertà di associazione, di opinione, d’espressione e stampa, che la statua di Stalin (simbolo della tirannia stalinista e dell’oppressione politica) fosse rimossa, ecc. Inoltre, espressero la loro piena solidarietà ai lavoratori della Polonia. In quell’Assemblea si progettò una manifestazione per il 23 ottobre e chiesero al Circolo Petofi di dirigerla insieme agli studenti.

Negli ultimi anni molti intellettuali e studenti si erano rivolti ai testi originali del marxismo in cerca d’ispirazione e di una guida rivoluzionaria. Volevano riconquistare la credibilità e la buona reputazione scientifica del marxismo. Nelle scuole, una delle cose che sfuggiva alla dottrina stalinista era che si era imparato che, se un sistema politico era cattivo bisognava fare la rivoluzione e che per iniziare una rivoluzione erano i lavoratori che dovevano farla, con l’aiuto degli intellettuali. Così, gli studenti e gli intellettuali avevano fatto agitazione nelle fabbriche da qualche tempo e non sarebbe stato meno lo stesso giorno del 23 ottobre: al mattino i picchetti studenteschi e del Circolo Petofi si diressero nelle fabbriche per distribuire materiale di propaganda e, inoltre, occuparono i locali quasi deserti (segno della decomposizione pre-rivoluzionaria) della sede centrale del PC di Budapest.

Di fronte a questi fatti, il governo Rákosi emise un divieto, che poi dovette ritirare, della manifestazione prevista per quello stesso pomeriggio. 155.000 manifestanti occuparono Budapest al grido internazionalista di “Facciamolo alla maniera polacca!”, perché, in effetti, una manifestazione di massa aveva imposto a Gomulka di rimuovere i delegati del PCUS russo. Altre grida erano “Sciopero generale” e “Fuori i russi”. Va evidenziato che i manifestanti portavano ritratti di Lenin e gridavano slogan contro Rákosi e lo stalinismo. Le bandiere ungheresi sventolavano per le strade con un buco nel mezzo perché i manifestanti rivoluzionari avevano tagliato lo scudo con la stella rossa e il martello incrociato con il ramo di grano, simbolo associato alla burocrazia stalinista dell’URSS. Questa azione era un rifiuto dello stalinismo e di Mosca, non del socialismo.
La manifestazione traboccò in tutta Budapest e si divise in tre gruppi, uno iniziò a smantellare la statua di Stalin (con l’aiuto di operai saldatori), un altro si diresse al parlamento chiedendo a Imre Nagy prendesse la parola. Egli invitò alla calma e a ritornare a casa e fu immediatamente fischiato dai manifestanti che erano prevalentemente giovani operai. Il terzo gruppo decise spontaneamente di andare alla radio per esigere la diffusione delle rivendicazioni. La stazione radio era sorvegliata dall’AVH, l’odiata polizia politica, che gli ungheresi chiamavano ancora con il suo vecchio nome, AVO. L’AVH iniziò a mitragliare i manifestanti pacifici e i morti si contarono a decine (da allora, la “caccia” agli “AVO” divenne un’ossessione per i rivoluzionari). Il governo terrorizzato chiamò in suo aiuto le truppe sovietiche di stanza in Ungheria che furono ricevute da fuochi di lotta armata composti da giovani operai e alcuni studenti accompagnati da soldati dell’esercito ungherese che avevano disertato.

La Rivoluzione politica ungherese era iniziata. I lavoratori occuparono le fabbriche che organizzarono con Consigli operai. Il giorno dopo il PC e l’amministrazione statale scomparvero e lo sciopero generale fu totale. Si formarono milizie operaie che si difesero eroicamente dall’aggressione dei 6.000 soldati dell’Armata Rossa e dei suoi 700 carri armati che si unirono alla polizia politica nel tentativo di sopprimere l’insurrezione. Ci furono anche diserzioni di soldati dei carri armati sovietici che passarono dalla parte della rivoluzione. Il giorno 25, in una massiccia manifestazione di fronte all’edificio del parlamento, truppe dell’URSS e dell’AVH spararono a bruciapelo uccidendo più di 300 persone. I Consigli operai risposero con un appello allo sciopero generale. La repressione armata non riuscì a imporsi. Alcuni burocrati si dimisero, altri fuggirono all’interno dei carri armati. Il 25 ottobre, i resti del potere stalinista proclamarono Imre Nagy capo del governo come misura di cessione e contenimento, come un male minore.

Le milizie operaie dei Consigli operai delle fabbriche presero il controllo di una fabbrica di armamenti e inviarono nel centro della città camion carichi di armi dove migliaia di lavoratori se li suddivisero. La classe operaia aveva abbattuto i muri psicologici con un tratto di penna e nulla poteva impedirle di avere le armi, come Trotsky aveva già detto vent’anni prima: «Il proletariato produce le armi, le trasporta, costruisce gli arsenali in cui sono depositate, difende quegli arsenali contro sé stesso, serve nell’esercito e crea tutto l’equipaggiamento di quest’ultimo. Non sono le serrature o i muri che separano le armi dal proletariato, ma l’abitudine alla sottomissione, l’ipnosi del dominio di classe, il veleno nazionalista. Sarà sufficiente distruggere quei muri psicologici e nessun muro di pietra resisterà. Sarà sufficiente che il proletariato voglia avere le armi e le troverà. Il compito del partito rivoluzionario è quello di risvegliare nel proletariato quella volontà e di facilitarne la realizzazione». (Dove va la Francia, 1934-36).
I consigli dei lavoratori si riprodussero in tutte le imprese e nei distretti operai di Budapest. Volevano liberarsi dal controllo burocratico. Anche una parte della polizia e l’alto comando dell’esercito si unirono alle masse popolari. La mattina dopo le strade principali erano nelle mani di operai e studenti, fu formato un Consiglio Rivoluzionario e lo sciopero generale si diffuse presto in tutta l’Ungheria. Le masse popolari non accettavano più i governanti stalinisti. In tutto il Paese, gli operai formarono consigli operai che iniziarono a prendere tutte le fabbriche ed espellere i loro direttori. Invece di combattere i rivoluzionari, i soldati che si erano schierati con la rivoluzione iniziarono a distribuire armi tra le milizie operaie. Uno dei primi alti comandi a disertare, il colonnello Pál Maléter, fu nominato in seguito nuovo ministro della Difesa del governo Nagy.

Di fronte alla momentanea sconfitta della burocrazia stalinista, l’Armata Rossa fu evacuata. Dall’inizio della Rivoluzione politica ungherese, il 26 ottobre, iniziò una situazione di doppio potere tra il governo di Imre Nagy e i Consigli Operai, con i quali apparve l’embrione di uno Stato parallelo. Imre Nagy fu costretto a ricevere le delegazioni dei consigli operai e a negoziare con loro. Anche le milizie operaie inviarono delegazioni per fare pressione sul governo Nagy, che fu costantemente rimodellato. I consigli spinsero affinché gli elementi più stalinisti fossero messi da parte in ogni rimpasto di governo. Dalle rovine dell’esercito i resti del potere stalinista cercarono di formare una Guardia Nazionale, fu un tentativo di ricostruire lo Stato. Si stava instaurando una divisione radicale della società in una chiara situazione di doppio potere: da un lato, c’erano i governanti e il loro nuovo esercito e dall’altro, le milizie armate e i loro consigli operai e popolari.

Le truppe sovietiche si ritirarono. Imre Nagy cercò di riportare al lavoro i lavoratori in sciopero perpetuo, ma incontrò l’opposizione dei consigli operai che posero come condizione l’uscita delle truppe russe da tutto il Paese. Ma le truppe che lasciarono Budapest rimasero formando un cerchio attorno alla capitale. Allo stesso tempo giunsero notizie di concentrazione di truppe sovietiche in Romania e Cecoslovacchia.

I carri armati della burocrazia stalinista portarono la controrivoluzione

Di fronte a un PC in rovina, nei primi giorni di novembre fu fondato il Partito Socialista dei Lavoratori (nuovo PC) con lo stalinista Kadar a capo. A questo punto il governo di Imre Nagy era paralizzato tra le rivendicazioni dei Consigli Operai e delle loro milizie e le manovre del Cremlino e del suo apparato nazionale stalinista che era in ricostruzione. Imre Nagy fu un ingrediente transitorio di questa ricostruzione per ingannare le masse. La burocrazia non poteva continuare con Rakosi e così usò Imre Nagy. La pressione rivoluzionaria era così grande che Imre Nagy dovette cedere in alcune cose alle rivendicazioni operaie, ad esempio, ritirando l’Ungheria dal Patto di Varsavia (accordo militare dei paesi dell’Est sotto la tutela e la guida dell’URSS, analogo alla NATO imperialista). Questa fu una conquista operaia, non di Imre Nagy.

Il 4 novembre iniziò senza preavviso un massiccio bombardamento di Budapest da parte di 6.000 carri armati (molti di più dei 700 che erano entrati il 24 ottobre). La Rivoluzione politica ungherese era molto profonda e non sarebbe stata facilmente sottomessa, quindi era necessaria un’invasione di non meno di 15 divisioni russe. Le truppe provenivano direttamente dall’URSS, composte per lo più da kirghisi, turkmeni e armeni, che non sapevano nulla della situazione, a differenza dei soldati dell’Armata Rossa di stanza in Ungheria, e persino non capivano la lingua e non potevano informarsi attraverso i volantini ne disertare come era successo nella prima incursione dell’Armata Rossa il 24. Scoppiarono terribili combattimenti, 30 carri armati furono distrutti dalle milizie operaie. La distruzione degli edifici superò quella del 1944 alla fine della seconda guerra mondiale. Budapest fu pesantemente bombardata e lasciata in rovina.
Fino all’11 novembre, gli scontri armati continuarono, gli ultimi combattimenti ebbero luogo nei quartieri operai. Nel frattempo, il potere stalinista formò nell’ombra il “governo” Kadar, per favorire meglio gli interessi della burocrazia sovietica. Si formò in una città di provincia e pochi giorni dopo, il 7 novembre, si stabilì nella capitale e si insediò nel parlamento circondato da carri armati sovietici.
Il governo Nagy perse il favore del potere stalinista. Aveva già svolto il suo ruolo e non c’era più bisogno di lui per contenere le masse operaie. Imre Nagy dovette fuggire e si rifugiò nell’ambasciata jugoslava. Lo sciopero rimase a oltranza, i Consigli operai non si arresero. Dall’11 al 14 novembre si formò il Consiglio Operaio Centrale della Grande Budapest, organo centralizzato di tutti i consigli operai di quartieri, fabbriche e province, e prese la direzione del paese nelle proprie mani in modo del tutto naturale. Diresse e centralizzò tutta la gestione dell’Ungheria.
Nonostante i carri armati, la situazione di doppio potere continuò tra, da un lato, un potere operaio centralizzato dal Consiglio Operaio Centrale e dall’altro, il governo Kadar che aveva preso il posto di quello di Nagy, sorvegliato dall’Alto comando sovietico.
Il 23 novembre il Consiglio centrale tentò di formalizzare il suo carattere nazionale con delegati provinciali in una grande riunione pubblica per formare un Consiglio Operaio Centrale di tutta l’Ungheria. Gli operai stavano andando troppo lontano e la burocrazia stalinista era troppo minacciata ed è stato allora che i carri armati sovietici hanno circondato l’edificio e li hanno massacrati a sangue e fuoco.
Quello stesso giorno Imre Nagy fu rapito dall’ambasciata jugoslava dalla polizia segreta sovietica con la complicità infida del maresciallo Tito, e fu portato davanti alla “giustizia”, la cui azione avrebbe portato due anni dopo all’esecuzione di Imre Nagy.
Krusciov stesso aveva fatto un tour diplomatico per ottenere adesioni tra i governi stalinisti di tutti i paesi dell’Est e persino il Presidente polacco “riformatore” Gomulka concordava sul fatto che la “controrivoluzione” in Ungheria doveva essere repressa, non era d’accordo solo sul fatto che la repressione dovesse essere effettuata dall’URSS.
Il 13 dicembre, Kadar convocò i membri sopravvissuti del Consiglio Operaio Centrale nella sede del governo apparentemente per negoziare, ma lì furono arrestati. Dal 13 dicembre, decapitati i consigli, inizia la fine di tutta la lotta organizzata su larga scala. Tuttavia, lo sciopero generale non terminò fino alla fine del 1957. Gli operai resistettero clandestinamente in forma atomizzato fino a quando non furono totalmente repressi nel corso dei primi mesi del 1958.
La repressione criminale della burocrazia stalinista russa portò all’esilio di 200.000 rivoluzionari ungheresi, a una grande epurazione nelle forze armate, alla atroce esecuzione di 2.500 rivoluzionari dopo velocissimi processi farsa e a più di 3.000 morti nei combattimenti.

I rivoluzionari non volevano tornare al capitalismo. L’imperialismo era dalla parte dello stalinismo

Contrariamente a quanto sostengono gli stalinisti, gli ungheresi insorti non lottavano per il capitalismo, non volevano tornare al 1945, né mettevano in discussione il socialismo. Inoltre, nella Rivoluzione politica Ungherese si diede in forma inequivocabile un’espressione del potere operaio e rivoluzionario. Nel corso dello sciopero generale, i consigli iniziarono a federarsi e stabilirono una Repubblica dei Consigli con gli operai armati in milizie. In conseguenza di ciò, ottennero che il governo fantoccio della burocrazia stalinista russa cessasse di esistere.
Gli ungheresi non volevano tornare al capitalismo, che era incarnato prima della seconda guerra mondiale in Ungheria nel regime militare-fascista dell’ammiraglio Horthy che governò 24 anni come reggente d’Ungheria da quando nel 1920 rovesciò la Repubblica Sovietica ungherese di Bela Kun, la seconda rivoluzione bolscevica nel 1919 dopo quella russa. Horthy governò fino al 1944, si identificò con il partito nazista e finì per mettere l’Ungheria in guerra per conto dell’Asse collaborando con il nazismo nello sterminio degli ebrei. Cioè, gli ungheresi si erano scottati con il capitalismo che avevano sofferto nella peggiore delle sue forme. Ecco perché quando l’Armata Rossa scacciò i nazisti, nessuno protestò contro la nazionalizzazione dell’industria, delle banche e la riforma agraria. Ciò di cui gli ungheresi si lamentavano era che non si contava sulla classe operaia, la cui leadership era stata espropriata per mano di un partito unico stalinista supervisionato dal Cremlino che imponeva un regime totalitario con lo schema burocratico stalinista senza democrazia operaia.
Nella rivoluzione politica ungherese, la proprietà statale e la pianificazione economica furono difese come un pilastro. In tutte le piattaforme rivendicative dei consigli operai appariva questa rivendicazione. Nessuno attaccava le conquiste emanate dalla Rivoluzione d’Ottobre del 1917. Quello che volevano era conquistare la democrazia operaia e l’indipendenza del Paese dal giogo della burocrazia stalinista russa. Come dato interessante, si noti che con il movimento rivoluzionario in aumento ci fu una rinascita della stampa rivendicativa indipendente e quei giornali di recente fondazione che sostenevano proposte pro-capitaliste furono soppressi dagli stessi lavoratori tipografici.

D’altra parte, bisogna smentire le calunnie dello stalinismo sul sostegno dell’imperialismo alla Rivoluzione ungherese. L’imperialismo statunitense, come massima potenza del mondo capitalista, non appoggiò mai la Rivoluzione ungherese ma, al contrario, ha sostenuto la casta burocratica stalinista di Krusciov. Quello che più temeva la mobilitazione della classe operaia russa e dell’Europa orientale era l’imperialismo. Non gli conveniva che una rivoluzione politica come quella ungherese finisse per trasformare l’Ungheria in un Paese con un’economia pianificata controllata democraticamente dalla classe operaia e dai suoi organi di potere. Questo avrebbe potuto essere la morte di entrambi, il capitalismo e il suo guardiano dietro la cortina di ferro, lo stalinismo.
La dittatura della burocrazia stalinista ha svolto un duplice ruolo a favore dell’imperialismo e della controrivoluzione: schiacciava i lavoratori e permetteva all’imperialismo di confondere le grandi masse con la storia che il socialismo e la nefasta politica della burocrazia stalinista sono la stessa cosa. Questo è il motivo per cui l’imperialismo non è mai stato dalla parte delle rivoluzioni politiche degli operai in Ungheria nel ’56, in Cecoslovacchia nel ’68 o in Polonia nel 1981. L’unica cosa che fece l’imperialismo capitalista di fronte alla rivoluzione operaia ungherese fu usarla come propaganda anticomunista, ma non aiutò la rivoluzione con un solo fucile.
Ma ciò che prova senza alcun dubbio che l’imperialismo era con Krusciov e contro la rivoluzione ungherese è il confronto dell’Ungheria con la Corea. Mentre gli USA aiutarono nella guerra di Corea solo pochi anni prima la Corea del Sud senza alcuna tentennamento, non aiutarono mai i rivoluzionari ungheresi a fermare i carri armati della burocrazia stalinista russa.

Contro l’occultamento del carattere operaio e socialista della rivoluzione ungherese: il Consiglio Operaio Centrale della Grande Budapest

Gli operai costruirono consigli operai locali fin dai primi giorni della rivoluzione, dal 23 ottobre, ma il Consiglio centrale dei lavoratori non fu formato fino a quasi 10 giorni dopo, il 4 novembre. Esaminiamo perché e qual è stata l’evoluzione di questi organi della classe operaia. Ma soprattutto quello che vogliamo dimostrare è l’assoluta preponderanza ed egemonia dei Consigli Operai nella Rivoluzione politica Ungherese, che ne mostra il carattere operaio e socialista, e non borghese e filo-imperialista.

I consigli locali alla fine di ottobre avevano già una struttura in cui i delegati di fabbrica formavano consigli operai distrettuali e governavano l’intera vita amministrativa, economica e politica di un’intera regione, a quel tempo solo in modo atomizzato. I consigli sostituirono l’assenza di qualsiasi tipo di amministrazione centralizzata, che la rivoluzione aveva quasi frantumato. Ma anche a Budapest, dove fu istituito il governo di Imre Nagy, gli operai si organizzarono indipendentemente dall’amministrazione e costrinsero il governo a riconoscere molte delle richieste dei Consigli operai, andando più in là di dove Nagy fosse disposto ad andare.

Nei quartieri operai delle baraccopoli, come Újpest e Csepel, i consigli operai rappresentavano l’intera comunità e oltre a erigere i propri consigli di fabbrica, gli operai di Budapest organizzavano le loro attività per organizzare l’intera città. Il 31 ottobre 1956 si approvò una risoluzione che stabiliva “i diritti basilari e le funzioni dei consigli operai”, che includevano la decisione dei livelli salariali, la decisione su tutti i contratti riguardanti l’esportazione di merci, la decisione sulla conduzione di tutte le operazioni di credito, il controllo dell’assunzione di lavoratori e la nomina del direttore che sarebbe stato revocabile e che sarebbe stato responsabile nei confronti del consiglio operaio.
Non c’è quindi dubbio che durante la rivoluzione hanno governato gli operai, sia a livello di fabbrica che di distretto.

Il governo di Imre Nagy ha dovuto negoziare con gli operai. Per mancanza di un partito rivoluzionario, i consigli non decisero di esautorare Nagy e prendere il potere. Per questo motivo i consigli avevano il ruolo di pressione sul governo Nagy. Poiché, con la forza dei consigli Nagy, dovette cedere e fatto ciò che essi volevano in molte occasioni, qualsiasi osservatore esterno superficiale potrebbe credere che il governo Nagy esprimesse in gran parte la volontà delle masse popolari. È necessario sottolineare che molte delle misure di Nagy erano cedimenti, non fatti di sua spontanea volontà. È proprio per questo motivo che fu ritardata la formazione di un consiglio operaio centralizzato.
Questo è stato anche il motivo per cui i consigli operai locali avevano deciso di tornare al lavoro al più tardi entro il 5 novembre. Ma con il ritorno dei carri armati russi il 4 novembre, i consigli modificarono quella decisione e continuarono lo sciopero generale a tempo indeterminato.
Lo strumento operaio dello sciopero generale insurrezionale dal 4 novembre in poi era in concomitanza e in linea con la lotta armata guidata dalle milizie dipendenti dagli organi del potere operaio che erano i Consigli operai.

Furono gli operai a organizzare la resistenza armata con le loro milizie operaie, non fu il governo di Imre Nagy. Nonostante i 60.000 carri armati della burocrazia stalinista russa e le 15 divisioni russe, le milizie operaie furono in grado di resistere fino al 12 novembre, specialmente nei distretti operai.
Altri dati per dimostrare il carattere operaio di questa rivoluzione erano le statistiche ufficiali. Ad esempio, il danno agli edifici durante i combattimenti fu molto più alto nei distretti operai mentre le aree residenziali dei distretti più ricchi restarono quasi intatte. Le morti durante i combattimenti armati predominarono nei distretti operai di Budapest. Secondo le cifre fornite dagli ospedali, l’80% dei feriti erano giovani operai, mentre gli studenti rappresentavano non più del 5%.

Come abbiamo detto sopra, dopo il 4 novembre la manovra della burocrazia stalinista russa fu nominare il governo di Kadár, che non poteva stabilire pienamente il suo potere perché aveva un potente nemico ufficiale: lo sciopero operaio dei Consigli che esigevano la ritirata delle truppe russe. Anche Kádár, come Imre Nagy, fu costretto a cedere ad alcune rivendicazioni operaie. Kadar dichiarò di impegnarsi in tre delle rivendicazioni operaie: “Sulla base della più ampia democrazia, la gestione operaia deve essere effettuata in tutte le fabbriche e i conglomerati”, “saranno garantite elezioni democratiche in tutti gli organi amministrativi esistenti e nei consigli rivoluzionari” e “creazione di guardie armate nelle fabbriche”.
Tuttavia, la prima lotta per il governo Kadar fu quella di cercare di restringere le attività dei consigli a problemi puramente economici, e quindi mantenerli fuori dall’ambito politico.

Il 12 novembre le richieste dei consigli erano avanzate in una direzione socialista. Includevano: la proprietà collettiva dei mezzi di produzione (le fabbriche sarebbero state nelle mani dei soli consigli operai); l’estensione dei poteri dei consigli in campo economico, sociale e culturale; l’organizzazione di una forza di polizia in stile milizia, sotto il controllo dei consigli; gli operai devono portare armi; sul piano politico esigevano la creazione di un sistema plurale di partiti che potessero concorrere alle elezioni, ma avrebbero dovuto impegnarsi a difendere le conquiste socialiste dello Stato Operaio; l’evacuazione sistematica delle truppe russe e il ritiro dell’Ungheria dal Patto di Varsavia…

La classe operaia era in procinto di organizzarsi su una scala più ampia che trascendeva i confini di ogni fabbrica e di ogni baraccopoli separatamente. Il Consiglio Operaio Centrale prese rapidamente vita. Il 12 novembre fu presa la decisione di istituire un Consiglio Operaio Centrale. Il Consiglio Operaio Rivoluzionario di Újpest convocò i delegati delle fabbriche di Budapest affinché inviassero i loro delegati di consiglio alla Municipaltà di Újpest il 13 novembre al fine di formare il Consiglio Operaio Centrale della Grande Budapest. Il 14 novembre nacque definitivamente. A tutte le rivendicazioni già conquistate prima del 12 novembre bisogna aggiungere altre che costituivano un vero programma rivoluzionario: si manifestò contro l’inclusione di membri degli ex servizi di sicurezza dello Stato (l’AVH, ex AVO) nelle nuove forze di sicurezza. Si approvò che gli uomini che componevano queste nuove forze di sicurezza dovessero essere reclutati tra le fila dei giovani rivoluzionari e tra quei membri della polizia e dell’esercito che erano rimasti fedeli al popolo e agli operai delle fabbriche; esigerono il rilascio immediato e incondizionato di tutti i combattenti per la libertà: esigerono l’abolizione del sistema a partito unico e il riconoscimento solo di quei partiti che si basavano su principi socialisti; il consiglio non riconobbe il governo di Kádár…

E, per mettere definitivamente a tacere coloro che accusano questi rivoluzionari di essere pro-capitalisti e filo-imperialisti, sarebbe necessario scolpire in oro ciò che è stato letteralmente detto nella dichiarazione finale sulla proprietà e la pluralità dei partiti:
“le fabbriche non devono trasformarsi in proprietà capitalista, ma in proprietà veramente collettiva” e “Esigiamo un sistema multipartitico: noi operai vogliamo avere solo quei partiti che riconoscono le conquiste socialiste, e che si basano su principi socialisti”.

Alcuni dei delegati dell’Assemblea del 14 novembre sollevarono l’idea che avrebbe dovuto essere istituito un Consiglio centralizzato nazionale, per rappresentare tutti gli operai di tutto il Paese; alcuni delegati obiettarono che non avevano alcun mandato per formare qualcosa di più grande di un Consiglio Operaio Centrale della Grande Budapest, e che, inoltre, data l’assenza di così tanti delegati provinciali, nessuna decisione del genere poteva essere presa.
Ciò è importante perché dimostra che la questione della formazione di un Consiglio Nazionale non era affrontata semplicemente dal punto di vista della fattibilità politica, ma, soprattutto, da uno spirito essenzialmente democratico. Per gli operai ungheresi e per i loro delegati la cosa più importante dei consigli era proprio la loro natura di democrazia operaia.

Il processo di creazione di un consiglio operaio centrale di tutta l’Ungheria fu interrotto dalla violenza finale della burocrazia stalinista. Non ci fu tempo per vedere se in futuro il Consiglio Operaio Centrale della Grande Budapest sarebbe stato esteso a tutto lo Stato e se gli operai avrebbero deciso di formare il proprio partito rivoluzionario destinato a prendere il potere. I consigli operai non possono essere organizzazioni politiche pienamente coscienti incamminate verso la presa del potere senza che esistano partiti politici.

Mancò il partito rivoluzionario per prendere il potere e porre fine alla situazione di doppio potere

Un altro punto da confutare è l’argomento di alcuni centristi, tra cui alcune correnti di chi ha rinnegato il trotskismo, secondo cui la figura di Imre Nagy incarnava le richieste della popolazione insurrezionale ungherese.
Imre Nagy, come Gomulka in Polonia, era una via d’uscita per la burocrazia stalinista, un fantoccio dell’URSS di Stalin contro i Comitati e i Consigli Operai all’interno della rivoluzione nazionale. Il ruolo di Imre Nagy era quello di contenere le masse. In Ungheria c’era una situazione di doppio potere, una caratteristica generale di ogni Paese scosso da un processo rivoluzionario. Sotto il governo di Imre Nagy, come in Polonia con Gomulka, c’era questa situazione in cui ci sono, di fatto, due governi: da un lato, il potere ufficiale, dall’altro quello degli operai e delle masse. In Ungheria i Consigli Operai, e in Polonia i Comitati di fabbrica, erano quelli che governavano assolutamente a livello locale. Di fronte a loro c’erano i governi di Nagy e Gomulka che rimasero in piedi grazie alla mancanza di un partito rivoluzionario che prendesse il potere e alla mancanza di centralizzazione del potere operaio e popolare. I governi ufficiali di Nagy e Gomulka, gestiti dai settori nazionalisti della burocrazia, erano al guinzaglio della burocrazia più filo-russa. La burocrazia stalinista aveva fatto ricorso a Imre Nagy come “cessione” e tentativo di fermare le masse perché Rakosi, della linea stalinista dura, non poteva resistere.
Di fronte alla brutale pressione della rivoluzione dei consigli operai e al pericolo che avrebbe sopraffatto lo stesso governo Nagy, la burocrazia si sentì costretta ad entrare con sangue e fuoco per schiacciare atrocemente la rivoluzione operaia. L’esercito sovietico sollevò Nagy (mettendo Kadar al suo posto) e schiacciò la rivoluzione operaia con il tacito accordo dell’imperialismo.

La ragione assolutamente primordiale per cui il potere operaio non fu imposto in Ungheria fu la mancanza di un partito rivoluzionario, come Trotsky sottolineava prima di morire. La mancanza di una direzione rivoluzionaria minò la centralizzazione e gli obiettivi precisi del movimento rivoluzionario. Questa mancanza della rivoluzione operaia facilitò la sussistenza dei governi di Nagy. Con l’esistenza di un partito rivoluzionario, esso avrebbe preso il potere destituendo Imre Nagy e garantendo per sempre che non tornasse un altro governo di linea burocratica stalinista dura come quello di Rakosi, e un governo come quello di Kadar non sarebbe mai stato in grado di arrivare al potere.
L’assenza di una direzione rivoluzionaria, nella forma di un partito marxista rivoluzionario della classe operaia, permise ai dirigenti conciliatori di arrivare alla testa di questa rivoluzione politica e gettare via il potere. Deviarono l’azione dei Consigli operai verso le negoziazioni (di mera pressione sui governi Nagy, prima, e di Kadar poi) e con esitazioni che sviarono gli operai dalla prospettiva della presa del potere e diedero alla burocrazia stalinista il tempo di riconquistare il potere. La direzione della rivoluzione aveva un orientamento gradualista e non aspirò a mettere in piedi un potere politico proprio dei consigli operai.

L’analisi di Trotsky sul PCUS e la sua definizione come il partito della casta burocratica che si elevò al di sopra della classe operaia, si rivelò anche nei paesi dell’Europa orientale. E divenne ancora più chiaro come, allo svilupparsi della dualismo di potere, i partiti comunisti furono la base del potere della burocrazia, nelle sue diverse forme, il polo politico opposto al potere operaio incarnato dagli operai, dai loro consigli e dalle loro milizie operaie.
Man mano che le condizioni nel processo di queste rivoluzioni politiche maturavano, tutte le condizioni erano già in atto per la formazione di un partito rivoluzionario con il programma di rivoluzione politica contro la burocrazia stalinista e il suo partito, il partito comunista.

La rivoluzione politica ungherese conferma il pronostico di Trotsky e il programma del trotskismo elaborato dalla Quarta Internazionale per l’URSS e per l’intera zona dominata dalla burocrazia stalinista e ruota attorno a due pilastri: la rivoluzione politica e il diritto all’autodeterminazione delle nazioni dominate dall’URSS. Inoltre, c’è un altro punto che il pablismo-mandelismo ex-trotskista ha sempre rifiutato di riconoscere: il ruolo controrivoluzionario dell’Armata Rossa che entrò a massacrare la rivoluzione degli operai. Pertanto, tutta la politica rivoluzionaria doveva anche essere centrata sulla parola d’ordine della ritirata dell’Armata Rossa il cui ruolo era controrivoluzionario, già lontano dai suoi anni eroici della sua creazione da parte di Lev Trotsky.
A quel tempo il pablismo, la corrente revisionista filostalinista di chi rinnegò il trotskismo, guidata da Michel Pablo, che in seguito avrebbe formato il Segretariato Unificato dopo una riunificazione, credeva che lo stalinismo cessasse di essere controrivoluzionario in quell’era postbellica perché una terza guerra mondiale era agli albori e il blocco stalinista era progressista e avrebbe dovuto avere il sostegno dei “rivoluzionari”. A quel tempo Pablo promulgò persino “l’entrismo sui generis” con cui i suoi seguaci ex-trotskisti entrarono nei partiti stalinisti. Perciò essi sostenevano che fosse un errore dei trotskisti di principio sostenere rivoluzioni politiche come quella ungherese perché «potevano fare il gioco dell’imperialismo». La prognosi dei pablisti ex-trotskisti finì in una deriva molto profonda di degenerazione.
Colui che ha avuto ragione è stato Trotsky prima di morire con il suo pronostico alternativo che la Quarta Internazionale aveva fatto alle soglie della seconda guerra mondiale, quando ha detto, nel “Manifesto della guerra del 1940” che «Se il regime borghese uscirà indenne dalla guerra, tutti i partiti rivoluzionari soffriranno un processo di degenerazione. Se trionfa la rivoluzione proletaria, spariranno le cause che la producono».
Dopo la seconda guerra mondiale, durante il periodo di Yalta, il pablismo revisionista e liquidazionista si adattò allo stalinismo e al suo patto di contenimento della rivoluzione con l’imperialismo e portò la Quarta Internazionale alla disgregazione e alla trasformazione di un partito mondiale in un movimento di tendenze. Poiché coloro che avevano rinnegato il trotskismo, con Michel Pablo alla testa, misero i loro seguaci nello stalinismo, la Quarta Internazionale come partito mondiale non divenne di massa nel dopoguerra e non poté essere presente nei processi di rivoluzione politica nei quattro decenni successivi alla guerra. Anche per tutta questa epoca Trotsky aveva un pronostico alternativo accurato: «o una rivoluzione politica rovescia la burocrazia o la burocrazia ripristinerà il capitalismo».
Una IV Internazionale di massa sarebbe stata decisiva nei processi di rivoluzione politica, perché come disse anche Trotsky: «La Quarta Internazionale è l’unica organizzazione che previde correttamente il corso generale degli eventi mondiali, che pronosticò che una nuova catastrofe imperialista era inevitabile, che denunciò le frodi pacifiste dei democratici borghesi e degli avventurieri piccolo-borghesi della scuola stalinista, che lottò contro la politica di collaborazione di classe conosciuta come “fronte popolare”, che ha mise in discussione il ruolo traditore del Comintern e degli anarchici in Spagna, che criticò irreconciliabilmente le illusioni centriste del POUM, che continuò a rafforzare incessantemente i suoi quadri nello spirito della lotta di classe rivoluzionaria. La nostra politica in guerra è solo la continuazione concentrata della nostra politica in pace». (“Manifesto della Quarta Internazionale sulla guerra imperialista e la rivoluzione proletaria mondiale”, 1940).

La rivoluzione ungherese era il futuro, non aveva il minimo accenno di voler tornare indietro, verso il regime dei latifondisti e il capitalismo. La base della rivoluzione politica ungherese erano le masse popolari la cui spina dorsale e direzione fu la classe operaia, organizzata nei Consigli operai rivoluzionari. La Rivoluzione Ungherese dimostrò l’enorme potenziale rivoluzionario della classe lavoratrice nella sua lotta contro lo stalinismo e per un vero socialismo internazionalista basato sull’autogoverno del proletariato.
La Rivoluzione ungherese fu la rivoluzione politica classica predetta da Trotsky ed è un onore di ogni rivoluzionario internazionalista essere un fedele difensore di questi operai che hanno lottato per il vero socialismo e contro la casta burocratica stalinista che li opprimeva.

* Traduzione di Giovanni “Ivan” Alberotanza di questo saggio del settembre 2021 → http://www.flti-ci.org/europa/2021/septiembre/hungria-65-aniv-ben.html

Bandiera ungherese con un buco nel mezzo. I rivoluzionari tagliarono lo scudo con la stella rossa e il martello incrociato con la spiga di grano, simboli che associavano alla burocrazia stalinista dell’URSS. Questa azione non era un rifiuto del socialismo, ma dello stalinismo e degli occupanti russi.
Massiccia manifestazione pacifica il 23 ottobre 1956 a Budapest contro la burocrazia stalinista e l’occupazione sovietica
Momento in cui la statua di Stalin è stata abbattuta il primo giorno della rivoluzione ungherese
Testa della statua di Stalin che apparve il giorno dopo separata dal corpo della statua abbattuta
Manifestazione nel quartiere operaio di Újpest, 24 ottobre 1956
Nikita Krusciov, Presidente dell’URSS, ad un evento pubblico sotto un grande ritratto di Stalin
Primo ingresso dei carri armati sovietici che invadono Budapest il 25 ottobre 1956
Il presidente stalinista filo-russo Rakosi su un palco con lo scudo stalinista che appariva sulla bandiera ufficiale ungherese del regime stalinista
Un’altra foto dell’ingresso dei carri armati della burocrazia stalinista sovietica a Budapest
Vittime rivoluzionarie nelle strade dopo gli attacchi dei carri armati della burocrazia stalinista russa e dell’AVH, la polizia politica stalinista
Case danneggiate nei combattimenti a Budapest durante la rivoluzione del 1956
Milizie operaie impugnano armi requisite
Giovani miliziani armati
Una donna che sputa sul cadavere di un soldato russo giustiziato nel centro di Budapest. 750 soldati stalinisti sovietici perirono nella rivoluzione ungherese
Rivoluzionari che bruciano le foto di Rakosi, il presidente ungherese burattino della burocrazia stalinista
Un’altra foto della testa della statua abbattuta di Stalin
Rivoluzionari ungheresi che distruggono le foto di Stalin
Rivoluzionari uccisi nella repressione perpetrata dai carri armati stalinisti e dall’AVH, la polizia politica. 2.500 rivoluzionari ungheresi persero la vita combattendo eroicamente
Poliziotto giustiziato dai rivoluzionari ungheresi
Soldato sovietico che si unisce ai rivoluzionari
Assemblea Generale in Piazza Klauzál, 25 ottobre 1956
Carro armato requisito con bandiera rivoluzionaria ungherese
Carro armato della burocrazia sovietica distrutto dai rivoluzionari nelle strade di Budapest
I rivoluzionari trascinano un poliziotto AVH attraverso il centro di Budapest
Foto colorata della bandiera rivoluzionaria ungherese con lo stemma stalinista ritagliato
Riunione inaugurale dell’Associazione degli Studenti Universitari al di fuori di quella ad appartenenza obbligatoria controllata dalla gioventù stalinista
Scritta “Russi fuori” in una libreria russa
Folla rivoluzionaria ungherese
Riunione dei lavoratori della direzione di un consiglio di fabbrica
Un gruppo di ungheresi in cima a un carro armato russo nel centro di Budapest
Riunione del Consiglio operaio centrale
Tankette dell’esercito russo invasore in fiamme
Tram sul cui tetto sono stati scritti slogan antistalinisti, dopo averlo rovesciato, in una strada di Budapest
Foto in bianco e nero della bandiera rivoluzionaria ungherese con lo stemma stalinista ritagliato
Immagine dell’edificio della radio nazionale ungherese con fori di proiettile durante la rivoluzione
Un camion carbonizzato negli scontri di Budapest, dopo l’inizio della repressione della Rivoluzione
Rivoluzionari che prendono a calci un soldato russo appeso a faccia in giù a un albero
Monumento agli occupanti russi stalinisti abbattuto dai rivoluzionari ungheresi
Edificio con proiettili segnati sulla parete
Raccolta fondi per le famiglie dei martiri della rivoluzione uccisi dall’esercito sovietico
Miliziano ungherese con il popolare fucile mitragliatore “racket”
I rivoluzionari ungheresi vedono il cadavere di un membro della polizia di stato appeso a un albero a Budapest
Un’altra foto della statua di Stalin rovesciata
Un’altra foto di miliziani ungheresi con le armi in mano
Un’altra foto in bianco e nero della bandiera ungherese con lo stemma stalinista ritagliato
Soldati giustiziati dai rivoluzionari ungheresi
Masse rivoluzionarie nelle strade
Vista generale degli edifici nel centro di Budapest, al tempo degli scontri tra i rivoluzionari ungheresi e il regime stalinista sovietico
Cadaveri di rivoluzionari uccisi dalla burocrazia stalinista
Secondo ingresso di carri armati della burocrazia sovietica a Budapest
Scene di distruzione
Scene della distruzione nelle strade di Budapest causata dai carri armati della burocrazia stalinista russa
Riunione di un Consiglio Operaio
Cannone sequestrato dai rivoluzionari alla burocrazia stalinista
Mátyás Rákosi, presidente ungherese della burocrazia russa filostalinista
Imre Nagy, presidente ungherese successore di Rakosi
János Kádár, successore di Nagy, imposto dalla burocrazia stalinista russa

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