Il ruolo dei bolscevichi nelle giornate di luglio

Un passaggio decisivo verso la Rivoluzione d’Ottobre

Prima d’immergerci nell’atmosfera incandescente del luglio sovietico è utile richiamare alla memoria alcuni passaggi precedenti essenziali. Il 23 febbraio 1917, secondo il calendario giuliano in vigore allora in Russia, si era innescata la sollevazione popolare che nel giro di qualche giorno aveva portato alla caduta dell’impero zarista e all’instaurazione di un governo provvisorio guidato dal principe L’vov, membro del partito cadetto, un aristocratico liberale sostenuto dalla borghesia. Questo governo aveva ottenuto il benestare del soviet di Pietrogrado, cioè del consiglio dei deputati degli operai e dei soldati, composto dai rappresentanti eletti nelle fabbriche e nell’esercito ed egemonizzato dai socialisti rivoluzionari e dai menscevichi. 

Prima dell’estate. Il governo provvisorio e la continuazione della guerra imperialistica

Il governo provvisorio intendeva portare avanti l’impegno della Russia nella guerra mondiale in corso, a fianco dei Paesi dell’Intesa, sostenendo che una vittoria militare avrebbe rafforzato il regime borghese. Questa posizione, nota come difensismo rivoluzionario, sostenuta anche da menscevichi e socialrivoluzionari, venne frontalmente contrastata da Lenin nelle Tesi di Aprile, documento nel quale la teoria in oggetto venne demistificata e ricondotta alle mire imperialistiche delle classi dirigenti russe. È proprio con le Tesi di Aprile, infatti, che Lenin, nel ribadire la posizione bolscevica del disfattismo rivoluzionario, riarmò nel complesso il Partito – che prima del suo ritorno in Russia era orientato in direzione di un sostegno critico al governo borghese – ponendo come asse centrale della politica bolscevica il rifiuto categorico di supportare il governo provvisorio e la paziente e sistematica demistificazione delle sue illusorie promesse agli occhi delle masse oppresse. 

Un’estate incandescente: dal giugno al luglio 1917

Nel giugno del 1917 a Pietrogrado si svolse il I Congresso panrusso dei soviet, cioè l’assemblea dei delegati provenienti da tutte le province della Russia, nella quale i bolscevichi costituivano ancora una netta minoranza (105 delegati su 822) rispetto a menscevichi e socialrivoluzionari. Comprendere gli avvenimenti dell’estate del 1917 è dunque essenziale per capire come i bolscevichi riuscirono nel giro di qualche settimana a conquistare la maggioranza nei soviet e a realizzare la Rivoluzione d’Ottobre. 

A inizio luglio Aleksandr Kerenskij, socialrivoluzionario, già ministro della Giustizia e poi nel mese di maggio insediatosi al ministero della Guerra, sferrò per il governo borghese un’offensiva militare contro gli austro-tedeschi che, complice lo sfinimento dei soldati, si tradusse in una pesante sconfitta.

È in questo contesto che maturò la sollevazione popolare dei primi di luglio a Pietrogrado. Come ricorda Trotsky nella Storia delle rivoluzione russa, nel primo semestre del 1917 la guerra era costata alla Russia 10 miliardi e 500 milioni di rubli. “I generi di prima necessità cominciavano a mancare. I prezzi salivano via via che si accentuavano l’inflazione e il declino economico”, le fabbriche chiudevano, il traffico ferroviario era duramente colpito, il combustibile scarseggiava e, in generale, i rifornimenti, a partire dal grano, diventavano sempre più insufficienti aggravando il rischio di carestie. 

Sul piano politico, per quanto riguarda il regime di febbraio, “le parole e i fatti erano in un continuo conflitto, come lo spirito e la carne di un fedele cristiano”. Il regime uscito dalla rivoluzione di febbraio era “l’incertezza organizzata” 1. Non era questo che gli operai e, in generale, le masse oppresse avevano sperato dalla rivoluzione. E infatti, nella seconda metà di giugno scioperi e mobilitazioni di massa avevano dimostrato come il governo borghese avesse ormai perso la sua base di appoggio e il controllo della situazione. 

L’insurrezione di luglio

Gli esiti tragici dell’offensiva militare di Kerenskij indebolirono ulteriormente il governo borghese, e quattro ministri del partito cadetto lasciarono l’esecutivo. Settori dell’esercito si mobilitavano e si sentivano parole d’ordine del tipo: “rovesciare il governo provvisorio come è stato rovesciato lo zar”. I bolscevichi si rendevano conto che non avrebbero potuto “moderare la capitale”, Pietrogrado, che “aveva la sensazione di essere alla vigilia di qualche esplosione”. I reggimenti e le fabbriche erano pronti a scendere in piazza armati, venivano distribuiti fucili e mitragliatrici.

Si materializzava insomma il primo episodio di esplicita ribellione, in armi, contro il governo borghese. Il 3 luglio la sollevazione aveva inizio con fiumi di operai, contadini, settori dell’esercito ammutinati che marciavano per le vie della capitale: “una dopo l’altra le fabbriche uscivano nelle strade, si allineavano, e si costituivano distaccamenti di guardie rosse armate”. “Ogni distaccamento aveva un cartello con la scritta: tutto il potere ai soviet”. Trotsky scrive che la manifestazione del 3 luglio era certamente la più “impetuosa” degli ultimi mesi, e la “più omogenea per composizione”, dato che “dietro le bandiere rosse marciavano operai e soldati”. “Per le strade – aggiunge – correvano in tutte le direzioni macchine cariche di operai e soldati armati”. 

Fiumi di persone si riversarono davanti al palazzo Ksesinskaja e al Palazzo Tauride. Il primo era un edificio di proprietà di una ballerina vicina ai Romanov, che durante la sua assenza, nel corso della rivoluzione di febbraio, era stato occupato dai bolscevichi che ne avevano fatto la sede del Partito; il secondo, già sede della Duma, da febbraio ospitava il governo provvisorio e il soviet di Pietrogrado. “Il movimento si sviluppa attorno a questi due centri antagonistici”, nell’aria risuonano le parole d’ordine “tutto il potere ai soviet!”, “arrestare l’offensiva!”, “nazionalizzazione della terra”, “controllo della produzione!”, “abbasso la guerra!”.

I bolscevichi decisero di marciare a fianco degli operai nel corso delle mobilitazioni, pur ritenendo che occorreva rinviare lo scontro decisivo. I dirigenti del Partito prevedevano infatti che si sarebbe andato incontro a una sconfitta, e che il governo avrebbe strumentalizzato quanto accaduto per colpire i bolscevichi. Tuttavia, la manifestazione diventò imponente e i bolscevichi non potavano restare in disparte e mandare gli insorti da soli incontro alla repressione governativa. Come disse Kamenev intervenendo in una riunione del soviet, “noi non abbiamo invitato a manifestare, ma le masse popolari stesse sono scese sulle piazze. E dal momento che le masse manifestano, il nostro posto è tra di esse… il nostro compito ora è dare al movimento un carattere organizzato” 2.

Repressione e riflusso della mobilitazione

Dopo due giorni di scontri per le strade della città, il governo riuscì a riprendere il controllo della situazione e a soffocare la rivolta. La mobilitazione andava rifluendo, rappresentanti degli operai venivano arrestati, si procedeva al sequestro di armamenti, i quartieri della città venivano presidiati e isolati l’uno dall’altro. La sede della Pravda fu devastata, mentre si intensificava una campagna calunniosa contro i bolscevichi, indicati come responsabili dell’insurrezione, e si arrestava chi manifestava simpatia verso di essi. Lenin e i principali dirigenti bolscevichi venivano dipinti pubblicamente come spie al soldo della Germania. In alcuni quartieri si scatenarono dei pogrom contro “l’ebreo e i l bolscevico”, con caccia aperta agli operai che venivano bastonati. 

Il 5 luglio la rivolta era definitivamente soffocata e il 6 mattina gli operai tornarono al lavoro. Le truppe fedeli al governo avevano soffocato le giornate di luglio, alcuni leader bolscevichi furono arrestati o costretti all’esilio, come Lenin che riparò in Finlandia. Tuttavia, il governo provvisorio aveva ormai il tempo contato. A settembre i bolscevichi saranno decisivi nello sventare il colpo di Stato militare tentato dal generale Kornilov contro il governo Kerenskij, usciranno ulteriormente rafforzati dalla vicenda e finiranno col guadagnare la maggioranza nei soviet di Pietrogrado e di Mosca. A quel punto, sarà tutto pronto per organizzare l’insurrezione contro il governo borghese.

I bolscevichi avrebbero potuto prendere il potere a luglio?

A febbraio i democratici piccolo-borghesi, i menscevichi e i socialrivoluzionari avevano preso il potere, loro malgrado, dalle mani delle masse popolari: non lo avevano conquistato. A luglio i manifestanti erano disposti ad abbattere il governo borghese, anche attraverso l’uso delle armi, poiché “volevano rimettere il potere ai soviet. Era però indispensabile che i soviet acconsentissero a prenderlo”. E infatti, nei soviet, in particolare nella capitale, la maggioranza era in mano ai conciliatori, i quali fecero appello ai cosacchi e alle truppe fedeli al governo preferendo innescare una guerra civile contro le masse popolari. In pratica, operai e soldati si scontrarono con la resistenza armata “della stessa istituzione cui volevano rimettere il potere”, motivo per cui “non ebbero più chiaro l’obiettivo”. 

Si realizzò insomma, come spiega Trotsky, lo stesso paradosso che si era verificato nelle giornate del giugno del 1848 in Francia: “dalle due parti della barricata risuonava un solo grido: Viva la Repubblica!”. Solo che “i borghesi volevano una repubblica per sé, gli operai una repubblica per tutti”. Allo stesso modo, nella Russia del luglio 1917, sia la borghesia che i proletari facevano appello al Comitato esecutivo del Soviet: l’una nella misura in cui quell’organismo ne tutelava gli interessi, gli altri nell’auspicio che “sarebbe divenuto l’organo del potere degli operai e dei contadini  […] La posta della lotta era né più né meno questa: chi avrebbe governato il paese, la borghesia o il proletariato?”.

Eppure, in quelle caldissime giornate di luglio sembrava che tanto il comitato esecutivo del soviet quanto il governo provvisorio avessero perso il controllo della situazione. In quel contesto, ci si chiede, i bolscevichi avrebbero potuto prendere il potere? Trotsky dedica una sezione della sua Storia della rivoluzione russa a questo problema, concludendo che a luglio “la direzione del partito ebbe assolutamente ragione di non impegnarsi sulla via dell’insurrezione armata”. Non basta infatti prendere il potere: bisogna poi riuscire a conservarlo, cosa che avrebbe necessitato della massima disponibilità alla lotta del proletariato. E “nel luglio, una simile disposizione a una lotta intrepida non esisteva ancora, neppure tra gli operai di Pietrogrado”. Difatti, il proletariato della capitale “non aveva ancora reciso il cordone ombelicale che lo legava ai conciliatori”. Come fra i proletari, anche fra i contadini la confusione era tanta. Quanto all’esercito, “restava politicamente amorfo”, e nelle sue file c’erano ancora “troppo pochi nuclei bolscevichi consistenti, capaci d’indirizzare in modo uniforme le idee e le azioni della massa gelatinosa dei soldati”. Oltretutto, nelle province, lontano da Pietrogrado e Mosca, la capacità delle avanguardie di mobilitarsi risultava limitata. 

Trotsky conclude che “da una risoluzione per il potere ai soviet all’insurrezione sotto le bandiere del bolscevismo, la strada da percorrere era ancora molta […] Il grado di coscienza delle masse popolari, fattore determinante nella politica rivoluzionaria, escludeva così la possibilità che i bolscevichi prendessero il potere in luglio”. 

Nel frattempo, dice Trotsky, sarebbe stato necessario dar tempo all’offensiva militare promossa dal governo Kerensij di esaurirsi: i bolscevichi prevedevano infatti che il disastro delle avventure militari del governo borghese lo avrebbe ulteriormente indebolito agli occhi delle masse popolari. Viceversa, il governo “avrebbe potuto far ricadere sui bolscevichi le responsabilità delle conseguenze delle sue follie”. Le previsioni dei bolscevichi risultarono corrette e, come volevasi dimostrare, il governo borghese, con relativi reggicoda e stampa al suo servizio, stabilì opportunisticamente delle relazioni fra il fallimento catastrofico della sua offensiva militare e l’insurrezione di luglio a Pietrogrado. Un approccio ignobile usato dagli elementi più patriottici come dalla “sinistra” menscevica, tutti uniti nell’attaccare i bolscevichi. 

Non ci può essere vittoria senza il partito rivoluzionario

Se il 3 e 4 luglio si fosse riusciti a trattenere l’insurrezione, la stessa sarebbe inevitabilmente scoppiata qualche giorno dopo, in seguito alla definitiva disfatta bellica, il movimento insurrezionale avrebbe avuto maggior vigore, anche nelle province, e sarebbe stato ben più difficile scaricare delle responsabilità sui bolscevichi. Nonostante sia convinto di questo, Trotsky ritiene tuttavia che il partito bolscevico abbia fatto bene a marciare a fianco degli insorti nelle giornate di luglio. Difatti, scrive che “le masse intervengono negli avvenimenti non per istruzione dei dottrinari, bensì quando vi sono stimolate dallo sviluppo della loro maturazione politica […] Gli operai e i soldati di Pietrogrado potevano verificare la situazione solo sulla base della loro esperienza diretta. La manifestazione armata fu appunto questa verifica. […] In una situazione simile, il partito non poteva restare in disparte. Lavarsene le mani nel catino di un comandamento strategico significava solo abbandonare gli operai e i soldati ai loro nemici. Il partito delle masse doveva porsi sullo stesso terreno su cui erano poste le masse stesse, per aiutarle a trarre le indispensabili conclusioni con le minori perdite possibili, senza condividerne affatto le illusioni” 3. Per evitare che l’insurrezione potesse condurre a un bagno di sangue analogo al massacro proletario del giugno 1848 francese 4 o della Comune parigina del 1870.

Ponendosi alla testa delle masse il partito bolscevico era riuscito ad arrestarle “nel momento in cui la manifestazione cominciava a trasformarsi in una prova di forza armata”. Grazie a questo intervento, la sconfitta degli insorti fu un duro colpo, “ma non un colpo decisivo. Le vittime si contarono a decine, ma non a migliaia. La classe operaia non uscì dalla prova decapitata o esangue. Mantenne integralmente i suoi quadri combattenti e questi quadri avevano imparato molte cose”. Così facendo, il partito bolscevico preservò il proletariato dal tracollo garantendo il successo della rivoluzione che da lì a breve si sarebbe realizzata. A riprova della necessità del partito rivoluzionario per condurre alla vittoria la classe operaia e le masse oppresse.

Note

  1. L. TROTSKY, Storia della Rivoluzione Russa, II, Mondadori, 1970, pp. 535-537
  2. Ibidem, pp 544-558
  3. Ibidem, pp. 598-613
  4. Sul tema, consultare:

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